La Ginestra rappresenta l'ultima grande lirica di Leopardi: essa chiude la raccolta dei Canti ed assume un valore quasi testamentario, come se l'autore avesse voluto attraverso di essa consacrare la sua opera e racchiuderne tutto il messaggio.
La lirica appartiene al periodo napoletano della vita di Leopardi, negli anni in cui egli era ospite dell'amico Antonio Ranieri che contribuì a pubblicare molte delle sue opere: lo spunto della poesia venne forse a Leopardi dalla lettura del testo "Rosa del deserto" del poeta spagnolo N. Alvarez de Cienfuegos (1764-1809), che apparve in un periodico napoletano nel 1835.
Tutta la poesia si basa sostanzialmente sul conflitto esistente tra l'uomo e la natura: quest'ultima è vista come una forza oscura che distrugge i progetti e i desideri dell'uomo, e lo fa in modo improvviso e crudele. La natura selvaggia e ostile è simboleggiata dal vulcano Vesuvio che, come Leopardi ricorda nella lirica, durante l'eruzione del 79 D. C. distrusse le città di Pompei ed Ercolano cancellando in un solo attimo un'intera civiltà ( "Questi campi cosparsi di ceneri infeconde.................... fur liete ville e colti, fur giardini e palagi, agli ozi de'potenti gradito ospizio"). Leopardi sottolinea come una volta il vulcano era abitato e palpitante di vita, c'erano ville, palazzi lussuosi dove i nobili romani si riposavano e vivevano nei piaceri, tuttavia è bastato un attimo affinchè la natura cancellasse un pezzo di umanità.
Questa constatazione diventa poi lo spunto per una riflessione importantissima, che racchiude tutto il senso della lirica: Leopardi afferma infatti che "Dipinte in queste rive son dell'umana gente le magnifiche sorti e progressive" (versi 47-50 della Ginestra).
Questi versi esprimono una profonda sfiducia nelle possibilità dell'uomo di passare da una condizione di sottomissione alla natura (e agli eventi fortuiti) alla piena padronanza di se stesso e del mondo: per quanti sforzi si facciano, è sufficiente un'eruzione vulcanica o un terremoto catastrofico per distruggere anche la civiltà più progredita.
In questo contesto Leopardi mette in discussione la superbia tipica degli intellettuali illuministi, che credevano ciecamente nel progresso e ritenevano che la ragione potesse avere un potere assoluto sulla natura per dominarla a proprio vantaggio: la libertà che l'Illuminismo sogna è solo un'illusione e, oltretutto, finisce per imprigionare il pensiero stesso in una serie di teorie considerate come verità assoluta.
Nonostante questo pessimismo, nella Ginestra Leopardi cerca faticosamente una via d'uscita dalla tragicità della condizione umana, cerca disperatamente un senso che possa dare valore all'esperienza dell'uomo sulla Terra; questo significato viene individuato nella solidarietà di tutti gli uomini contro la natura ostile, contro tutto ciò che minaccia la sopravvivenza umana e la sua felicità.
Per Leopardi, quindi, le persone devono mettere da parte gli istinti egoistici che da sempre le dividono e costruire una rete di solidarietà ("social catena") basata sull'aiuto reciproco: il poeta afferma che è stata proprio l'ostilità dell'ambiente a far nascere in tempi antichissimi la società, proprio perchè l'uomo singolo si rende conto che assieme agli altri può fronteggiare meglio i pericoli comuni.
Questa solidarietà è simboleggiata proprio dalla ginestra che, nonostante sia costretta spesso a piegare il capo di fronte alla lava del Vesuvio sterminatore, continua a vivere, superando ogni ostacolo con eroica determinazione.