Il tema della sofferenza e della ricerca della verità è uno dei cardini della poesia di Ungaretti.
Il poeta, nato ad Alessandria d'Egitto nel 1888, si è spesso scontrato con le difficoltà e perfino le brutalità della vita: egli fu dapprima un convinto interventista ai tempi della prima guerra mondiale, salvo poi scoprire al fronte l'inutilità e le atrocità del conflitto. Il tema del dolore è quindi costantemente presente nella prima raccolta poetica di carattere autobiografico ("Allegria di naufragi", 1919) ed è intimamente legato alla solidarietà che accomuna i soldati al fronte, paragonati a fragili foglie che possono cadere ad un minimo soffio di vento (" Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie").
La parola poetica, in questa prima raccolta, è decisamente essenziale e l'intero testo è spesso composto da poche frasi o addirittura da un verso; in compenso, però, Ungaretti sceglie le parole che descrivono meglio la propria condizione esistenziale, molto spesso forzando i normali legami logici tra le immagini, come accade nel frammento "M'illumino d'immenso".
La rottura dei legami sintattici e logici tra le cose prosegue poi nella seconda raccolta, intitolata "Sentimento del tempo" (1933): questa silloge è in assoluto la più vicina alla lirica ermetica, come si può notare dall'impiego insistente dell'analogia, dall'abolizione delle congiunzioni (in particolare del "come") e dall'uso costante della terza persona singolare, che conferisce un senso di forte indeterminatezza alla frase.
Il tema della sofferenza riemerge poi in modo prepotente con la raccolta "Il dolore" (1947), divisa in due parti distinte ma complementari: nella prima Ungaretti descrive l'immensa sofferenza derivata dalla morte del figlio, scomparso a soli nove anni per una peritonite; la seconda parte, invece, descrive le sofferenze causate dalla seconda guerra mondiale su una popolazione ormai completamente provata e incapace di sperare in un riscatto.
La lirica che introduce la raccolta descrive in modo toccante e magistrale lo stato d'animo del poeta di fronte al dramma della morte del figlio.
Ecco il testo:
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..."
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo...
2.
Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch'io regga a tanta notte?...
3.
Mi porteranno gli anni
Chissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,
M'avresti consolato...
4.
Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...
5.
Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce
Che in corsa risuonando per le stanze
Sollevava dai crucci un uomo stanco?
La terra l’ha disfatta, la protegge
Un passato di favola…
6.
Ogni altra voce è un’eco che si spegne
Ora che una mi chiama
Dalle vette immortali….
7.
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...
8.
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...
10.
Sono tornato ai colli, ai pini amati
E del ritmo dell'aria il patrio accento
Che non riudrò con te,
Mi spezza ad ogni soffio..
13.
Non più furori reca a me l'estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!...
Nella prima strofa Ungaretti riporta le parole del figlio, che ha sul volto i segni della morte imminente ("Il volto già scomparso"), ma ha uno sguardo ancora pieno di vita.
Nella seconda strofa, invece, il poeta è costretto a confrontarsi con la tragedia della morte e con la necessità (ancora più drammatica) di continuare la vita di sempre per non soccombere; nonostante Ungaretti continui a svolgere le stesse attività di sempre, egli ha dentro di sè un vuoto che si può esprimere con l'immagine del buio ( "Come si può ch'io regga a tanta notte?").
Il testo prosegue rievocando immagini del passato, il ricordo infatti è l'unica arma per proteggere dall'oblio i momenti gioiosi legati alla presenza del figlio: l'amore che il poeta prova per lui non fa però che accrescere la disperazione, il cuore si schianta nel dolore ("E t'amo, e t'amo, ed è continuo schianto").
Il confronto tra la situazione del figlio, ormai defunto, e la vita che continua ricorda la sofferenza di Carducci in "Pianto antico", al punto che Ungaretti considera la stagione più clemente l'inverno, poichè una natura spoglia sembra più rispettosa del suo dolore.