"Quaderno di quattro anni" è il titolo di una delle ultime raccolte di Montale, che contiene le liriche scritte nel periodo dal 1973 al 1974, appena successive al Diario del '71 e del '72.
In questa raccolta (ma anche nelle precedenti) Montale tende a compiere un bilancio della sua esistenza e a riflettere in maniera a volte pessimistica su temi universali come il senso della vita e del dolore,l'esistenza di un mondo spirituale ultraterreno e la possibilità per la ragione umana di comprendere la realtà. La risposta che il poeta dà alla domanda "Perché viviamo?" sembra essere problematica: la sua concezione appare molto vicina a quella leopardiana, caratterizzata dalla constatazione che l'uomo vive di illusioni effimere, che sembrano apparentemente dare un significato alla vita ma poi svaniscono lasciando dietro di sé un grande vuoto. Tuttavia tali "illusioni" hanno un'importanza vitale, poiché senza di esse l'esistenza sarebbe solo un arido deserto senza aspirazioni né desideri. Rispetto alle precedenti raccolte di Satura (e in parte del Diario) Montale accantona parzialmente la componente satirica ed ironica e riscopre quella riflessiva e filosofica. Dal punto di vista dello stile, invece, Montale continua ad usare un tipo di linguaggio che "apparentemente tende alla prosa ma in realtà la rifiuta" (come in Satura), uno stile vicino a quello del diario in cui le rime e le assonanze sono spesso evitate.
Un testo molto importante è la poesia "In negativo" (componimento n° 63) qui antologizzata:
In negativo
E' strano.
Sono stati sparati colpi a raffica
su di noi e il ventaglio non mi ha colpito.
Tuttavia avrò presto il mio benservito
forse in carta da bollo da presentare
chissà a quale burocrate; ed è probabile
che non occorra altro. Il peggio è già passato.
Ora sono superflui i documenti, ora
è superfluo anche il meglio. Non c'è stato
nulla, assolutamente nulla dietro di noi,
e nulla abbiamo disperatamente amato più di quel nulla,
La lirica è incentrata sulla metafora della morte, vista come un viaggio in cui il poeta deve presentare una specie di passaporto da far timbrare a qualche "burocrate". La poesia si basa su una riflessione sconsolata: ciò che c'era prima ("la vita") non è altro se non nulla, poiché tutti gli ideali per cui la persona ha lottato si rivelano essere illusioni di fronte all'annientamento della morte. Di conseguenza è anche superfluo ricordare l'esistenza ("i documenti" sono i ricordi), visto che essa non è altro se non un susseguirsi di speranze vane. Sembra quasi di risentire Leopardi quando affermava riferendosi al mondo che "tutto è nulla, solido nulla". L'effimero però finisce per avere un grande valore, dal momento che esso impedisce alla persona di cadere nel nichilismo, nella svalutazione totale dell'esistenza.
NEL DISUMANO
Non è piacevole
saperti sottoterra anche se il luogo
può somigliare a un'Isola dei Morti
con un sospetto di Rinascimento.
Non è piacevole a pensarsi ma
il peggio è nel vedere. Qualche cipresso
tombe di second'ordine con fiori finti,
fuori un po' di parcheggio per improbabili
automezzi. Ma so che questi morti
abitavano qui a due passi, tu
sei stata un'eccezione. Mi fa orrore
che quello che c'è lì dentro, quattro ossa
e un paio di gingilli, fu creduto il tutto
di te e magari lo era, atroce a dirsi.
Forse partendo in fretta hai creduto
che chi si muove prima trova il posto migliore.
Ma quale posto e dove? Si continua
a pensare con teste umane quando si entra
nel disumano.
In questo testo Montale descrive la morte come qualcosa di "disumano", nel senso che essa nega tutti i nostri concetti e i nostri schemi mentali, che derivano dalla nostra esperienza di vita.
L'uomo desidera dare un senso anche alla morte ed esorcizzarla con la credenza in un'altra vita, ma in questo modo non fa altro che applicare le proprie categorie ad una realtà che sfugge al nostro controllo e alla nostra capacità di comprendere.
L'unica cosa che si vede è appunto l'orrore di un corpo senza vita e sembra quasi che non ci sia nulla al di là di questo squallore.
PER UN FIORE RECISO
Spenta in tenera età
può dirsi che hai reso diverso il mondo?
Questa è per me certezza che non posso
comunicare ad altri. Non si è mai certi
di noi stessi che pure abbiamo occhi
e mani per vederci, per toccarci.
Una traccia invisibile non è per questo
meno segnata? Te lo dissi un giorno
e tu: è un fatto che non mi riguarda.
Sono la capinera che dà un trillo
e a volte lo ripete ma non si sa
se è quella o un'altra. E non potresti farlo
neanche te che hai orecchio.
In quest'altro testo Montale riflette sul fatto che anche una vita spezzata prematuramente e apparentemente insignificante può avere un grande valore e contribuire a rendere il mondo diverso, anche se tale certezza non può essere facilmente comunicata con le parole.
Si percepisce che quell'esistenza è importante, è in qualche modo unica, ma il senso ci sfugge e sfugge persino alla stessa persona. Nella poesia tra l'altro emerge il concetto secondo cui la realtà stessa può essere illusoria, una specie di "velo di Maja" che ci impedisce di percepire la verità delle cose: il poeta sospetta di vivere in un mondo di apparenze, in cui non si può essere sicuri nemmeno di evidenze come il nostro Io e la permanenza nel tempo e nello spazio.