Il canto XV dell'Inferno è uno dei più importanti e discussi della Divina Commedia e si focalizza su due tematiche fondamentali:l'incontro tra Dante e il letterato Brunetto Latini (definito da Dante come "il suo maestro") e la polemica contro la corruzione del comune di Firenze.
Dante e Virgilio camminano lungo gli argini del fiume infernale Flegetonte e sono ormai giunti,lasciandosi alle spalle la selva dei suicidi,al cosiddetto sabbione infernale, un grande deserto infuocato in cui sono puniti i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurai.
La pena a cui sono sottoposti i sodomiti consiste nel camminare sulla sabbia infuocata e nello stesso tempo nell'essere investiti da una continua pioggia di fuoco: i peccatori sono divisi in schiere ben distinte ed i gruppi non possono mescolarsi tra di loro. I dannati sono costretti a ripararsi in continuazione per evitare le scaglie di fuoco che li colpiscono incessantemente e se si fermano per un solo istante sono poi costretti per cento anni a rimanere supini sul sabbione senza poter ripararsi dalla pioggia di fuoco.
E' opportuno notare come Dante ricorra ad una vera e propria onomatopea per riprodurre nei versi il concetto di "fiamma che guizza e brucia", che indica la pena dei dannati sottoposti al fuoco infernale.
Ecco le terzine:
Quale i Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia
tenendo il fiotto che 'nver' lor s'avventa
fanno lo schermo perchè il mar si fuggia;
e quale i Padovan lungo la Brenta,
per difender lor ville e lor castelli
anzi che Carentana il caldo senta;
a tale immagin eran fatti quelli,
tutti che nè sì alti nè sì grossi
qual che si fosse, lo maestro felli.
Dante descrive gli argini del fiume Flegetonte, assai simili alle famosissime dighe che gli Olandesi e i Belgi (Fiamminghi) avevano costruito per strappare faticosamente al mare la terra; ma in realtà il poeta nei primi versi non fa altro che riprodurre esattamente il concetto di "fuoco che guizza e brucia", per introdurre il lettore alla situazione descritta.
Successivamente Dante presenta il tema centrale del canto:l'incontro con Brunetto Latini, che era stato il maestro di retorica di Dante.
Brunetto Latini fu un importante uomo politico, letterato e notaio molto in vista nella Firenze del Duecento. Egli era membro di una famiglia nobile appartenente alla fazione dei guelfi e,dopo la vittoria dei ghibellini nella battaglia di Montaperti (1260), Brunetto Latini abbandonò a Firenze e si rifugiò in esilio in Francia, dove continuò la sua attività di notaio.
Dopo il ritorno dei guelfi a Firenze nel 1267 egli ritornò in patria ed iniziò una carriera politica che lo portò nel 1287 a sedere nel Consiglio dei Priori (come poi fu per Dante) ed ebbe un ruolo molto importante anche nella temporanea pacificazione nel 1280 tra guelfi e ghibellini.
Fu maestro di retorica ("l'arte della parola") di Dante e, sicuramente, i due letterati condividevano molti ideali politici essendo entrambi appartenenti alla fazione dei guelfi; Dante paragona l'influenza del Tesoretto di Latini sulla sua opera a quella di poeti come Guittone e Bonagiunta.
A questo punto sorge spontanea una domanda: perchè Dante decide di mettere Brunetto Latini tra i dannati nonostante la stima che almeno in apparenza egli prova per lui?
E' opportuno notare un fatto significativo: Dante nel Purgatorio non condanna in maniera eccessivamente pesante l'omosessualità, infatti nel canto XXV i sodomiti sono accomunati agli eterosessuali nello stesso cerchio dei lussuriosi, quasi a voler affermare che il vero peccato consista più nell'incontinenza (lussuria) che nell'orientamento sessuale in sè;inoltre è bene ricordare come nella Firenze del Duecento la sodomia fosse piuttosto tollerata nei rapporti tra docente/discente (condizione simile alla Grecia antica), le leggi che a Firenze punirono l'omosessualità con la morte erano infatti posteriori all'epoca di Dante.
L'omosessualità di Brunetto non era inoltre un fatto di dominio pubblico nella Firenze duecentesca e solo recentemente i dantisti hanno scoperto l'esistenza di un carteggio amoroso tra il letterato e il poeta Bondie Dietaiuti.
Il motivo vero e principale della condanna dantesca dev'essere quindi un altro: se si analizza bene il colloquio tra Dante e Brunetto si nota come la personalità del letterato sia particolarmente egocentrica, caratterizzata da una notevole superbia intellettuale; Brunetto Latini manifesta quindi un senso di superiorità che lo porta a sentirsi ingiustamente migliore degli altri e ad ergersi a giudice perfino dei dannati come lui!.
Infatti il maestro di Dante adopera parole di profondo disprezzo verso i compagni di sventura con cui di fatto condivide lo stesso destino: i dannati vengono definiti "lerci d'un peccato medesmo", "turba grama", "tigna", quasi come se Brunetto, accecato dalla superbia, non riconoscesse la presenza dello stesso male dentro di sè.
Di conseguenza Dante, pur provando un rispetto quasi reverenziale verso il proprio maestro, non può inserirlo tra le anime salve, poichè la condizione essenziale per la salvezza è proprio l'umiltà di riconoscersi peccatori e bisognosi della grazia divina.
Brunetto Latini è il prototipo dell'uomo di cultura che ritiene di dover raggiungere la salvezza e l'immortalità con le proprie forze, mediante le effimere opere umane e non attraverso la fede; Dante vuole affermare proprio questo concetto quando dice che Brunetto sulla terra "gl'insegnava come l'uom s'etterna", diventa cioè immortale attraverso la gloria terrena.
Durante il colloquio tra Dante e Brunetto viene presentata una tremenda invettiva contro la città di Firenze, i cui abitanti vengono definiti con l'epiteto di "ingrato popolo maligno": Brunetto diventa qui l'alter-ego di Dante ed esprime attraverso il suo maestro il risentimento verso i fiorentini che lo hanno esiliato ingiustamente.
Ecco i versi dell'invettiva (vv 61-78)
Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico
e tiene ancora del monte e del macigno
ti si farà, per tuo ben far, nemico;
ed è ragion, che tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
gent'è avara, invidiosa e superba:
dai lor costumi fa che tu ti forbi.
La tua fortuna tanto onor ti serba
che l'una parte e l'altra avranno fame
di te; ma lungi fia dal becco l'erba.
Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta.
s'alcuna sorge ancora in lor letame,
in cui riviva la sementa santa
di que' Roman che vi rimasero quando
fu fatto il nido di malizia tanta"
I fiorentini sono definiti rozzi e malvagi, discendenti da quell'antico popolo di pastori (Fiesolani) che secondo Brunetto Latini avrebbe fondato Firenze:il popolo di Firenze è diventato nemico di Dante proprio a causa dell'imparzialità del poeta nel goverare la città, ma quel senso di giustizia ha fatto sì che Dante si alienasse le simpatie sia dei guelfi neri (già di per sè nemici) sia dei guelfi bianchi, partito a cui Dante apparteneva.
Non dimentichiamo che Dante aveva esiliato, nel periodo in cui era priore di Firenze, i capi più agguerriti delle opposte fazioni, allo scopo di pacificare il comune:ciò però gli attirò l'odio di molti fiorentini, al punto che il poeta affermò che "Tutti li mali e li inconvenienti miei dagli infausti comizi del mio priorato ebbero cagione e principio".
E' necessario che Dante stia lontano da Firenze per non corrompersi ("dai lor costumi fa che tu ti forbi") e piuttosto deve lasciare che i fiorentini, divisi da tanto odio, si uccidano da soli e da loro stessi ricevano il giusto castigo.
Brunetto Latini preannuncia quindi a Dante l'esilio quando afferma che la fortuna del poeta sarà tale da tenerlo lontano dagli intrighi politici di Firenze (versi 70-72), si tratta quindi di una profezia post-eventum, come se ne trovano parecchie in tutto l'Inferno.
E' opportuno a questo proposito supporre come il maestro di Dante conoscesse bene le divisioni interne di Firenze e il prevalere dell'egoismo politico a discapito del bene comune; infatti egli più volte intervenne come Dante per cercare di pacificare le opposte fazioni.
Il canto continua poi con l'elenco degli altri dannati che si trovano nello stesso girone, anche se è giusto rilevare come tra i sodomiti siano inserite persone la cui omosessualità non è storicamente accertata e spesso nemmeno la vera identità; non è chiaro chi sia il grammatico Prisciano di Cesarea e il giurista Francesco d'Accorso fu forse ateo, ma non sodomita.
Dante conclude il canto presentando un Brunetto Latini che corre velocemente nel girone e lo paragona ad un atleta che vince una gara, ad indicare come, nonostante sia tra i dannati, egli sia comunque culturalmente e moralmente superiore alle altre anime con cui condivide lo stesso destino.