Il canto tredicesimo dell'Inferno è a mio giudizio il più affascinante di tutta la cantica e nello stesso tempo il più inquietante, sia per le situazioni evocate sia per lo stile che Dante stesso usa, uno stile poetico aspro, difficile e tortuoso, che ben si adatta alla materia trattata.
Siamo nel secondo girone del settimo cerchio, zona infernale in cui si puniscono i violenti e che è divisa in tre gironi, in cui si trovano rispettiavamente i violenti contro il prossimo, contro se stessi (suicidi e scialacquatori) e contro Dio, la natura e l'arte (bestemmiatori, sodomiti e usurai).
E' interessante notare come secondo Dante (e secondo la mentalità cattolica dell'epoca) il suicidio sia un peccato assai più grave dell'omicidio, poichè rappresenta un rifiuto totale della vita, vista come il più grande dono di Dio; inoltre si nota come anche gli scialacquatori abbiano la stessa pena dei suicidi, poichè distruggere il proprio patrimonio è una specie di suicidio e toglie dignità all'uomo.
La condanna senza appello del suicidio (e della violenza contro se stessi) deriva anche dalla concezione di San Tommaso d'Acquino, secondo cui l'amore autentico verso il prossimo presuppone come condizione essenziale l'amore verso se stessi;chi giunge al suicidio si trova quindi in una condizione di perdizione, in cui l'anima non ha più amore da dare, nè per sè nè per gli altri.
Dante e Virgilio, guidati dal centuaro Nesso, giungono attraverso il fiume infernale Flegetonte (un fiume di sangue che simboleggia la violenza e il dolore) in una grande foresta, che è la selva dei suicidi;all'interno di ogni albero si trova un'anima imprigionata, costretta ad essere tormentata da mostri chiamati Arpie, che hanno il corpo di uccello e il volto umano. Tali mostri beccano le foglie degli alberi, ciò causa dolore ai dannati e dalle ferite escono continuamente dei terribili lamenti.
Le Arpie sono una reminescenza mitologica, poichè Dante si riferisce agli stessi mostri che cacciarono i troiani dalla Strofade, come si legge in un episodio del III libro dell'Eneide.
E' opportuno notare come nella pena dei suicidi (essere imprigionati in un albero e tormentati dalle Arpie) ci sia una sottile applicazione della teoria del contrappasso di Dante: chi si toglie la vita infatti abusa della propria libertà e si sostituisce a Dio (che solo può disporre della vita altrui), quindi ora per contrasto la sua anima è costretta a rimanere imprigionata in un albero, in balia di tutto e di tutti.
Vediamo ora i versi con cui Dante descrive il paesaggio infernale che incontra:
Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti;
non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
(versi 4-6)
Questa terzina descrive con assoluta precisione il luogo spaventoso in cui Dante e Virgilio si trovano, un posto che è forse il più terrificante di tutto l'Inferno:la ripetizione della congiunzione "Non" e dell'avversativa "Ma" serve per sottolineare come questa foresta sia l'esatto contrario dei normali boschi, i rami sono contorti e tortuosi, non vi sono frutti sugli alberi e le foglie sono di colore scuro, al posto dei frutti ci sono spine avvelenate ("tosco" significa appunto veleno).
L'aspetto esterno degli alberi è il riflesso della condizione delle anime imprigionate: chi commette suicidio ha infatti un animo tortuoso, contorto e la disperazione fa sì che non ci sia più nulla di "verde" (colore della speranza) nell'anima dei violenti contro se stessi.
La descrizione della selva si arricchisce poi mediante una similitudine molto calzante, Dante infatti dice:
Non han sì aspri sterpi nè sì folti
quelle fiere selvaggie che in odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi colti.
Il poeta vuole affermare che la selva è così folta ed aspra da superare i luoghi più impervi della Maremma (Cecina e Corneto si trovano in Maremma):l'idea di asprezza è espressa anche dall'allitterazione frequente dei suoni "t" e "p" , che danno il lettore l'idea di tortuosità e durezza.
Successivamente il poeta prepara il lettore all'avvenimento centrale del canto: l'incontro con Pier delle Vigne,importante funzionario imperiale alla corte di Federico II di Svevia, che venne arrestato a Cremona nel 1254 per motivi mai chiariti e cadde in disgrazia presso l'imperatore.
Dante avanza l'ipotesi di una congiura di molti funzionari contro Pier delle Vigne, poichè la posizione di potere del notaio era tale da suscitare contro di lui molte invidie.
Secondo una fonte storica Pier delle vigne fu fatto accecare dall'imperatore nella fortezza di Federico II presso San Miniato:non si sa molto nemmeno sui motivi reali della morte, forse avvenuta per suicidio o anche per le conseguenze dell'accecamento.
L'incontro con Pier delle Vigne è preceduto da un famoso episodio descritto nelle seguenti terzine:
Però disse 'l maestro: "Se tu tronchi
qualche fraschetta d'una d'este piante
il pensier c'hai si faran tutti monchi".
Allor porsi la mano un poco avante
e colsi un ramicel da un gran pruno;
e'l tronco suo gridò:"Perchè mi schiante?
Da che fatto fu poi di sangue bruno,
ricominciò a dir:"Perchè mi scerpi?
non hai tu spirto di pietade alcuno?
Uomini fummo, ed or siam fatti sterpi:
ben dovrebb'esser la tua man più pia,
se state fossimo anime di serpi".
Il maestro è ovviamente Virglio, che nell'Inferno simboleggia la ragione che deve guidare Dante in tutto il suo percorso di redenzione: Dante all'inizio, non vedendo le anime e sentendo solo i lamenti spaventosi delle Arpie, crede che i dannati si nascondino da qualche parte dietro gli alberi.
Virgilio allora lo invita a spezzare un rametto e quindi il nostro poeta con stupore e terrore si accorge di aver a che fare con qualcosa di vivo, in grado di parlare e di sanguinare per il dolore.
Occorre notare come Dante usi costantemente in tutto il canto i suoni aspri, in particolare nella triade "schiante, scerpi, sterpi": il poeta vuole utilizzare nel canto dedicato ai suicidi il cosiddetto "trobar clus" (poetare chiuso), caratterizzato da allitterazioni, suoni duri e oscurità semantica.
Dante sembra identificarsi con il destino crudele di Pier delle Vigne, infatti anche il poeta venne esiliato da Firenze e quindi la sua reputazione venne infangata; non a caso alla fine del canto vi è una breve invettiva contro Firenze (molto frequenti nell'Inferno), vista come una città divisa e costantemente in guerra, in cui prevale l'egoismo a spese dell'interesse per il bene comune.
Dopo il colloquio con Pier delle Vigne Virgilio rivolge al suicida una domanda importante, gli chiede come possa accadere che le anime si imprigionino negli alberi.
Ecco la risposta di Pier delle Vigne:
"Brievemente sarà risposto a voi.
Quando si parte l'anima feroce
dal corpo ond'ella stessa s'è disvelta
Minòs la manda alla settima foce.
Cade in la selva, e non l'è parte scelta;
ma là dove fortuna la balestra
quivi germoglia come gran di spelta.
Surge in vermena ed in pianta silvestra:
l'Arpie, pascendo poi delle sue foglie,
fanno dolore e al dolor fenestra.
Come l'altre verrem per nostre spoglie
ma non però ch'alcuna sen rivesta;
chè non è giusto aver ciò ch'om si toglie.
Qui le trascineremo, e per la mesta
selva saranno i nostri corpi appesi,
ciascuno al prun dell'ombra sua molesta."
In questi versi è descritta in maniera magistrale tutta la violenza del suicidio e della conseguente pena a cui sono sottoposti i dannati.
L'anima è definita infatti con l'aggettivo "feroce", poichè decide di troncare il legame con la vita: il verbo "disvellere" indica poi l'innaturalità del suicidio, che fa violenza al naturale istinto di conservazione dell'uomo.
Le anime poi sono abbondonate a se stesse, germogliano e crescono casualmente ("là dove fortuna la balestra"), poichè Dio le ha ormai lasciate al proprio destino:le Arpie poi beccano le foglie e causano ferite da cui in continuazione scaturiscono i lamenti.
Dante poi, con un'eccezionale forza di immaginazione, descrive ciò che accadrà ai dannati dopo il giudizio universale:essi non riavranno più il loro corpo, poichè Dio rispetta il libero arbitrio dell'uomo ("non è giusto aver ciò ch'om si toglie"), ma il corpo verrà appeso per l'eternità all'albero che contiene l'anima, dando alla selva un aspetto davvero tristissimo.