La poesia di Giuseppe Ungaretti, fin dall'inizio, è stata fortemente influenzata dalle vicende personali dell'autore e dagli eventi storici di un secolo spesso travagliato come il Novecento.
Il poeta nacque nel 1888 ad Alessandria d'Egitto e i genitori erano originari di Lucca: il soggiorno africano durò fino al 1912 e lasciò a Ungaretti moltissimi ricordi, tra cui quello della balia sudanese e della domestica croata.
Durante il periodo egiziano Ungaretti strinse molte amicizie, soprattutto con il compagno di scuola Mohammed Sceab e con Enrico Pea, che aveva fondato ad Alessandria un circolo anarchico chiamato "la Baracca rossa".
Nel 1912 Ungaretti ritorna in Europa e studia presso la prestigiosa università della Sorbona a Parigi e, quando nel 1914 scoppia la 1^ guerra mondiale, il poeta è tra i più accesi sostenitori dell'intervento italiano nel conflitto; tale posizione subirà un drammatico ripensamento quando Ungaretti toccherà con mano gli orrori della guerra e soprattutto si renderà conto che una simile carneficina non può essere giustificata in nessun modo, tanto meno con il nazionalismo della propaganda interventista (la restituzione all'Italia delle terre ancora austriache).
La prima raccolta di liriche si intitola "l'Allegria" e il comune denominatore che attraversa queste poesie è l'esperienza tragica del conflitto mondiale, con il suo triste corredo di morte e distruzione; tuttavia per Ungaretti la condivisione della sofferenza con i soldati che combattono porta le persone ad acquisire un profondo senso di solidarietà umana, ad assumere consapevolezza del fatto che la vita è un bene prezioso ed assolutamente fragile.
Tale consapevolezza è espressa nelle parole della poesia "Soldati", in cui Ungaretti paragona la condizione dell'uomo in guerra a quella delle foglie sugli alberi nella stagione autunnale (" Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie"), che possono cadere e morire al minimo soffio di vento.
In questo contesto è interessante analizzare la poesia "Natale", che risale appunto al Natale del 1916:il poeta è in congedo temporaneo per le festività natalizie ed avverte un forte senso di intimità familiare ma appare come intimorito dalla realtà esterna, che gli sembra ostile ed estranea.
Ecco il testo
Natale
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
In questa poesia viene descritta tutta la condizione tipica dei reduci di guerra: dopo aver vissuto in prima persona le sofferenze del conflitto, il poeta sente il desiderio di ritornare nel "nido" familiare, simboleggiato dal calore del focolare; tutto ciò che è esterno all'intimità familiare è visto come ostile ed uscire è come tuffarsi in un labirinto ("gomitolo" di strade).