La poesia di Giacomo Leopardi, nonostante i due secoli che ormai separano la nostra epoca da quella in cui è vissuto il poeta, continua ad esercitare un grande fascino tra gli studiosi e gli appassionati di letteratura.
Leopardi infatti può essere considerato uno dei pochi autori che è riuscito a parlare "al cuore dell'uomo", a porre delle domande complesse e sempre attuali sul significato della vita e della presenza dell'uomo nel mondo; non a caso egli è considerato addirittura un anticipatore dell'Esistenzialismo, corrente filosofica che si svilupperà tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento.
Il poeta nacque a Recanati nel giugno del 1798 ed ebbe un'infanzia serena, tuttavia manifestò fin da piccolo una grande predisposizione per gli studi e una grande vivacità intellettuale: il padre, il conte Monaldo, lo asseconda negli studi e gli fa scoprire la ricca biblioteca paterna, che conteneva circa 16.000 volumi.
Durante l'adolescenza il giovane Lepardi inizia ad ampliare enormemente il suo orizzonte culturale, si interessa di astronomia, impara da solo il greco antico e perfino l'ebraico; questo periodo è definito dal poeta come "i sette anni di studio matto e disperatissimo", anni che contribuiranno ad isolare il poeta dall'ambiente in cui viveva, assolutamente inadeguato al suo livello culturale, poichè Recanati era un borgo di provincia, situato tra l'altro in uno degli Stati più retrogradi dell'Italia ottocentesca.
Tale isolamento era aggravato anche dalle precarie condizioni fisiche in cui si trovava il poeta:egli sembra infatti che fosse affetto dal morbo di Pott, una forma di tubercolosi ossea della colonna vertebrale;tale condizione probabilmente contribuì non poco allo sviluppo del pessimismo leopardiano, soprattutto perchè Leopardi iniziò a riflettere sul fatto che la felicità dell'uomo dipende da fattori totalmente indipendenti dalla sua volontà.
La visione dell'esistenza tipica del Leopardi viene espressa non solo nei Canti, ma anche nelle Operette morali (in prosa) e nello Zibaldone, una specie di diario che l'autore iniziò a scrivere già dal 1817 e che continuò per tutta la vita.
Secondo il poeta ogni uomo, per sua natura, ha dentro di sè un fortissimo desiderio di felicità, che è eterno e soprattutto è infinito: di conseguenza tutti i piaceri che la vita offre, essendo limitati, non possono mai veramente soddisfare quell'aspirazione alla felicità che è innata in ognuno di noi. Anche la persona apparentemente più felice in realtà è sempre alla continua ricerca di nuove gratificazioni e quindi ad un'analisi lucida tutte le gioie che sperimenta non sono altro che illusioni, destinate sempre a passare e a lasciare con sè un grande senso di vuoto.
Tale situazione è aggravata dal fatto che la natura non sembra assolutamente preoccuparsi del destino dell'individuo, che è soltanto una misera pedina nell'immenso ingranaggio dell'Universo; per Leopardi le leggi fisiche su cui si basa la realtà non hanno come scopo la felicità dell'individuo, ma soltanto la conservazione del mondo ed è sufficiente un capriccio della natura (un'eruzione vulcanica, un terremoto, ecc.) per far perdere in un batter d'occhio tutto quello che è stato costruito con fatica nei secoli. Da qui deriva la famosissima concezione della natura come una "crudele matrigna", quasi una forza malvagia che agisce contro l'uomo ed è incomprensibile nelle sue dinamiche.
Tuttavia, nonostante questo pessimismo di fondo, il poeta si pone una domanda fondamentale:"E' possibile sperimentare una sensazione che si avvicini alla vera felicità?":la risposta a questo quesito è positiva, infatti per Leopardi ognuno di noi ha una risorsa sorprendente: la forza dell'immaginazione.
Attraverso l'immaginazione ognuno di noi può superare i limiti ristretti della realtà materiale, può andare oltre i confini dello spazio e del tempo e rappresentarsi con la mente un mondo assai più bello di quello in cui è costretto a vivere; il piacere dell'immaginazione, essendo infinito e senza limiti, dà una sensazione di appagamento molto più profonda rispetto a ciò che la realtà può offrirci.
L'ispirazione poetica ed artistica, per Leopardi, non è altro se non un dono dell'immaginazione, che per l'autore risulta particolarmente fervida nei bambini e nei poeti.
Su queste basi si fonda la famosa lirica "L'Infinito" , qui antologizzata.
L'infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo colle
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi al di là di quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura.E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Da questa poesia è evidente come l'ispirazione sia causata proprio da un impedimento alla vista: una siepe impedisce al poeta di avere una visuale ampia dell'orizzonte ( versi 2-3).
Tuttavia proprio questo impedimento stimola l'immaginazione, perchè porta ad immaginare un universo infinito dietro l'orizzonte limitato:queste sensazioni provocano un senso di smarrimento e di disorientamento.
In questa lirica si può notare come vengano spesso usati i superlativi (profondissima, sovrumani) per descrivere un'esperienza che le parole fanno fatica ad esprimere: il linguaggio dell'Infinito è per natura vago e indeterminato, perchè non si può definire ciò che non ha confini!
Il poeta, oltre a superare i limiti dello spazio, supera anche quelli del tempo:infatti la voce del vento porta Leopardi ad immergersi nel ricordo delle stagioni passate e a paragonarle con gli istanti del presente.
Il superamento dei limiti della realtà materiale diventa completo nell'ultimo verso: Leopardi sembra ormai immerso in una specie di "universo parallelo" e prova una sensazione indefinibile di gioia.