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28 luglio 2011 4 28 /07 /luglio /2011 15:37

La poesia di Thomas Eliot si caratterizza per una costante critica ai valori della tradizione occidentale e, soprattutto, per una rivalutazione del ruolo dell'artista nella civiltà moderna.

L'opera di Eliot appartiene al contesto del cosiddetto modernismo, movimento sviluppatosi fra il 1912 e la seconda guerra mondiale che comprese e rivoluzionò tutte le arti. I modernisti (tra i più noti, James Joyce, lo stesso Eliot ed Ezra Pound) denunciarono:

  1. la crisi della cultura occidentale,
  2. l'alienazione e il senso di solitudine dell'artista in un mondo scientifico,
  3. il rifiuto del passato e la rottura con la tradizione.

Il nome modernismo è legato particolarmente alla novità delle tecniche letterarie degli scrittori che ne facevano parte; tutti gli autori modernisti sono accomunati dal rifiuto della tradizione letteraria vittoriana (derivazione indebolita della letteratura romantica) e dal recupero della poesia del Seicento inglese (John Donne e i poeti metafisici).

Al centro della pratica letteraria modernista c'è il particolare uso dell'immagine (derivato in parte dal precedente movimento letterario, durato pochi anni, dell'imagismo, di cui aveva fatto parte Ezra Pound assieme al poeta inglese T.E. Hulme); per i modernisti l'immagine viene intesa non più come simbolo nel senso medioevale, romantico o simbolista, ma come correlativo oggettivo, corrispondenza oggettiva, perciò non personale, del sentire.

Secondo Eliot qualsiasi nostra emozione può essere rivissuta semplicemente citando gli eventi esterni, le situazioni che l'hanno provocata;di conseguenza la poesia è un rievocare immagini, eventi e situazioni senza però intervenire in prima persona, lasciando parlare gli oggetti.

Tale modo di fare poesia risulta essere ampiamente presente anche nella letteratura italiana, lo ritroviamo infatti in Gozzano, Pascoli e Montale; soprattutto Eugenio Montale fu un grande estimatore e traduttore di Thomas Eliot e un'intera sua raccolta ("Le occasioni") si rifà da vicino alla tecnica poetica del "correlativo oggettivo.

Montale infatti afferma che "le occasioni poetiche non devono essere spiattellate, ma rievocate attraverso una serie di oggetti, situazioni ed immagini che le rappresenta".

Ecco una poesia di Thomas eliot, dal titolo "Dedica a mia moglie":  

Una dedica a mia moglie
A cui devo la gioia palpitante
che tiene desti i miei sensi nelle ore di veglia,
e il ritmo che scandisce il riposo
delle nostre ore di sonno,
l'accordo del respiro

di due amanti i cui corpi
profumano l'uno dell'altro,
che pensano uguali pensieri
e non hanno bisogno di parole
e sussurrano uguali parole
senza la necessità di un senso.

Il vento stizzoso dell'inverno non farà gelare
il sole astioso del tropico non farà seccare
le rose nel giardino di rose che è soltanto nostro

ma scrivo questa dedica perché altri la leggano:
sono parole private indirizzate a te in pubblico.

Qui si può notare, soprattutto nell'ultima parte, l'uso del correlativo oggettivo:infatti il giardino di rose diventa il simbolo dell'intimità tra il poeta e la moglie, legame che non potrà mai essere spezzato dagli eventi minacciosi esterni ("il vento gelido" o "il sole astioso") ;inoltre è presente la figura retorica dell'anafora (ripetizione), proprio per dare maggiore risalto a determinati termini ("parole",, versi 9-10, "pensano-pensieri", verso 8).

 

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19 luglio 2011 2 19 /07 /luglio /2011 11:25

Guido Gozzano può essere considerato uno dei più importanti poeti del primo Novecento e soprattutto la sua arte appare in un certo senso rivoluzionaria, proprio perchè egli riesce, attraverso un'apparente imitazione, a superare e a capovolgere la tradizione letteraria del passato.

A questo proposito occorre riflettere sulle parole di Eugenio Montale:"Gozzano fu il primo dei poeti del Novecento che riuscisse ad "attraversare D'Annunzio" per approdare a un territorio suo": ciò significa che Gozzano riesce a fare propria la poetica di D'Annunzio ma la rielabora in modo critico e personale, fino ad arrivare al punto di superarla e perfino capovolgerla.

La formazione culturale di Gozzano avviene nell'ambiente torinese, infatti egli frequentò all'Università di Torino i corsi tenuti dal critico e poeta Arturo Graf; in particolare Gozzano apprezzò molto la produzione deipoeti simbolisti legati a Verlaine (in particolare Jules Laforgue e Georges Rodenbach) e dal punto di vista filosofico egli si accostò alle opere di Nietzsche e Schopenhauer.

Guido Gozzano fu un poeta eclettico con molti interessi tra cui quello per il cinema:egli scrisse infatti anche il copione di un film (San Francesco), che però non fu mai realizzato; tra i suoi molteplici interessi c'è anche la curiosità verso l'entomologia (studio degli insetti e delle loro abitudini), sfociato nella produzione di un pometto didascalico dal titolo "Le farfalle".

La critica ha definito Guido Gozzano come un "poeta crepuscolare", anche se il termine "crepuscolarismo" è stato usato nel 1910 dal critico Giuseppe Antonio Borgese per indicare un tipo di poesia in declino rispetto alla grande tradizione di Pascoli e D'Annunzio; del resto la parola "crepuscolo" porta con sè già l'idea di tramonto, di decadenza di qualcosa che un tempo è stato in pieno splendore.

Questa definizione non rende giustizia all'opera di Gozzano, che è molto complessa e soprattutto originale, ma del resto è una costante:molti grandi movimenti letterari e artistici sono stati prima etichettati i nsenso negativo (gli impressionisti in arte, ad esempio), salvo poi essere rivalutati successivamente.

Tutti i poeti crepuscolari, però, sono uniti da un comune denominatore: l'opposizione all'idea che la poesia debba essere la portavoce di un'ideologia (politica o religiosa poco importa) e la rappresentazione di un mondo umile, fatto di giardini abbandonati, conventi, piccoli eventi di una vita provinciale tranquilla e monotona.

In tutto questo c'è la volontà precisa di opporsi ad un modello ben individuabile: la poetica di D'Annunzio, basata molto spesso sulla retorica e sul concetto dell'artista come "superuomo" che redime la società.

In Guido Gozzano l'opposizione a D'Annunzio si evidenzia attraverso l'ironia, cioè il poeta usa volutamente alcuni termini dannunziani, ma li inserisce in un contesto umile e dimesso, creando un effetto di contrasto; infatti Eugenio Montale affermò una volta che Gozzano fu l'unico a "fare scintille accostando l'aulico con il prosaico", perchè il poeta adopera volutamente dei termini molto colti per descrivere gli oggetti della quotidianità.

Guido Gozzano scrisse due grandi raccolte di liriche:la prima si intitola "La via del rifugio" (1907) e la seconda "I colloqui" (1911); le liriche contenute in queste raccolte si caratterizzano per un'affinità di temi e di linguaggio,si tratta infatti di vere e proprie novelle in versi, con uno stile narrativo scorrevole e vicino alla prosa e la predilezione di forme metriche chiuse (come la sestina).

 

 

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14 luglio 2011 4 14 /07 /luglio /2011 17:47

In molte poesie della raccolta "La bufera ed altro" Montale affronta il tema del ricordo della propria infanzia ed adolescenza, viste come un periodo felice contrapposto alla drammaticità del presente segnato dalla distruzione e dalla guerra.

Le liriche che fanno parte della raccolta "La bufera ed altro" sono state composte durante la seconda guerra mondiale, che il poeta vive in modo particolarmente drammatico a causa della sua opposizione al fascismo e alla perdita degli affetti più cari, tra cui la studiosa ebrea Irma Brandeis, costretta ad emigrare negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali.

All'interno della raccolta è evidenziabile un gruppo di liriche che si basano sulla rievocazione dell'infanzia vista come un'età d'oro felice ed il simbolo di questa condizione è la casa di Monterosso nelle Cinque terre, dove il poeta ha trascorso le estati della sua infanzia e della sua adolescenza; in particolare la poesia "L'arca" è un testo che esemplifica questa particolare fonte d'ispirazione.

Ecco il testo:

                                                                                 L'arca

                                                    La tempesta di primavera ha sconvolto

                                                    l'ombrello del salice

                                                    al turbine d'aprile

                                                    s'è impigliato nell'orto il vello d'oro

                                                    che nasconde i miei morti,

                                                    i miei cani fidati, le mie vecchie

                                                    serve- quanti da allora

                                                    (quando il salce era biondo e io ne stroncavo

                                                    le anella con la fionda) son calati,

                                                    vivi, nel trabocchetto. La tempesta

                                                    certo li riunirà sotto quel tetto

                                                    di prima, ma lontano, più lontano

                                                    di questa terra folgorata dove

                                                    bollono calce e sangue nell'impronta

                                                    del piede umano. Fuma il ramaiolo

                                                    in cucina, un suo tondo di riflessi

                                                    accentra i volti ossuti, i musi aguzzi

                                                    e li protegge in fondo la magnolia

                                                    se un soffio ve la getta. La tempesta

                                                    primaverile scuote d'un latrato

                                                    di fedeltà la mia arca, o perduti.

 

Innazitutto è bene sottolineare il carattere simbolico di molti oggetti e situazioni citate nel testo: l'arca è la casa di Monterosso che appare come un vero e prorpio "reliquiario", perchè è il luogo della memoria, depositario di tutto ciò che si può salvare dagli insulti del tempo ( la persecuzione, la guerra) e dal naturale passare del tempo ( che sbiadisce i ricordi).

La tempesta,invece, è il simbolo negativo della guerra e di tutto ciò che sconvolge l'armonia del nido familiare, mentre il vello d'oro è come uno scrigno che quando si apre rivela i ricordi e le situazioni del passato.

in questa lirica anche gli oggetti inanimati sembrano custodire i ricordi, ad esempio il mestolo (ramaiolo) in cucina sembra riflettere, uno accanto all'altro, i volti ossuti delle persone care e persino i musi aguzzi dei cani, anch'essi ormai morti; gli alberi sembrano essere i custodi privilegiati delle memorie del poeta, soprattutto la magnolia appare come una fedele custode del passato.

 

 

 

 

 

                                                    

 

                                                                  

 

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29 giugno 2011 3 29 /06 /giugno /2011 11:35

Con il termine Ermetismo si fa riferimento ad un gruppo di poeti attivi nella Firenze degli anni trenta e quaranta del Novecento. Il termine ermetismo deriva da Ermes Trimegisto (tre volte grande), uno scrittore vissuto nel III secolo D.C. e famoso per il suo stile difficile, pieno di metafore e dichiaratamente esoterico.

I poeti ermetici, infatti, ritengono che l'ispirazione poetica sia come un'esperienza quasi mistica riservata a pochi eletti e l'arte poetica è un potente strumento per conoscere l'Assoluto ed avere una comprensione totale della realtà: di conseguenza il linguaggio poetico deve essere ridotto all'essenziale, è necessario abolire la normale sintassi e la punteggiatura e ,soprattutto, bisogna fare un uso notevole dell'analogia, accostando cioè oggetti e situazioni che non hanno alcun tipo di legame logico.

La razionalità, per gli ermetici, è la principale nemica dell'ispirazione poetica, proprio perchè impedisce all'uomo di conoscere ciò che va al di là del mondo materiale: il testo poetico è quindi frutto di un momento di illuminazione e di conseguenza non c'è da stupirsi se lo stile è vago, difficile e non rispetta i normali accostamenti logici.

Per comprendere l'Ermetismo è però necessario analizzare il momento storico in cui esso si sviluppò:in Italia infatti siamo in pieno regime fascista e la cultura era imbavagliata e soffocata dalla dittatura mussoliniana.

In questo contesto per gli intellettuali contrari al regime erano possibili due altermative:1) opporsi attivamente alla cultura fascista rischiando in prima persona;2) isolarsi in una specie di torre d'avorio intellettuale e manifestare la propria opposizione attraverso un totale distacco dalla realtà storica. Gli ermetici scelsero appunto la seconda opzione e il loro disimpegno politico va interpretato come opposizione ad una realtà storica negativa e per nulla amata.

La maggior parte dei poeti ermetici collaborò alle riviste culturali fiorentine degli anni Trenta, soprattutto "Frontespizio" e "Solaria":il principale critico dell'ermetismo fu Carlo Bo, che in un saggio del 1938 dal titolo "Letteratura come vita" definisce in maniera minuziosa le caratteristiche della poesia ermetica, che in un certo senso è simile a quella decadente per quanto riguarda il rapporto tra l'intellettuale e l'arte; infatti anche per gli ermetici (come prima per il Decadentismo) il poeta è una persona che si distingue dalla massa per le sue capacità conoscitive e,soprattutto, per gli ermetici l'arte non ha una funzione moraleggiante o educativa, ma è un valore fine a se stesso.

Il principale precursore della poesia ermetica è sicuramente Giuseppe Ungaretti, soprattutto l'Ungaretti della raccolta "Sentimento del tempo":questo libro è diventato una specie di Bibbia degli ermetici, a cui essi si sono rifatti per trovare l'ispirazione adatta per le proprie liriche. Infatti nell'Ungaretti di "Sentimento del tempo" sono presenti tutte le caratteristiche dell'Ermetismo, soprattutto l'uso dell'analogia e l'abolizione dell'articolo, l'uso della terza persona a scopo evocativo.

I principali poeti ermetici furono Mario Luzi (che fu anche critico), Salvatore Quasimodo ed Alfonso Gatto, spesso di origine meridionale ma "trapiantati" a Firenze.

E' importante sottolineare che, a partire dagli anni Quaranta, quasi tutti i poeti ermetici tendono a cambiare radicalmente il proprio modo di fare poesia, soprattutto crolla quell'atteggiamento di distacco sociale che aveva caratterizzato la fase iniziale del movimento:in particolare Salvatore Quasimodo inizierà a partire dagli anni Quaranta a scrivere testi ispirati all'attualità e, di conseguenza, il linguaggio diventa molto più diretto ed espressivo ed assai meno allusivo.

Questo cambiamento dimostra il legame molto forte esistente tra l'Ermetismo e la dittatura fascista: quando vengono meno le condizioni che impedivano un diretto impegno dell'intellettuale nella vita sociale, ecco che anche il modo di concepire l'arte cambia e crolla quell'atteggiamento di aristocratico distacco tipico degli intellettuali ermetici degli anni Trenta.

Il mutamento nello stile poetico è evidente se si analizzano questi due testi di Salvatore Quasimodo, risalenti il primo alla fase ermetica propriamente detta ed il secondo ad un periodo successivo.

 

                                                                            Ed è subito sera

Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera.

 

Questa lirica, tratta dalla raccolta "Ed è subito sera" (risalente agli anni Trenta) è espressione dell'Ermetismo più puro: il linguaggio è ridotto all'essenziale ed è allusivo, soprattutto è presente un'analogia inusuale, cioè l'accostamento tra il raggio di sole e l'idea della ferita espressa dalla parola "trafitto": si vuole intendere, sotto forma di metafora, che le gioie della vita simboleggiate dal raggio di sole portano con sè anche molte delusioni inaspettate, ma tutto questo non è chiaramente espresso, il poeta parla per simboli e, soprattutto, parla in terza persona, non viene mai usato dagli ermetici il pronome "io".

Vediamo ora il secondo esempio:

 

                                                                            Alle fronde dei salici

E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento

d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso al palo del telegrafo.

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.

 

In questa poesia, risalente agli anni dell'occupazione nazifascista dell'Italia (1944 circa), si nota l'abbandono dei canoni della poesia ermetica:innanzitutto il poeta descrive un'esperienza reale, le immagini si fanno crude ed esplicite e la situazione descritta è ben riconoscibile a chiunque la viva in prima persona.

Inoltre in questo caso il poeta vuole trasmettere un messaggio  esplicito di natura sociale, cioè vuole denunciare gli orrori dell'occupazione nazista affinchè non abbiano più a ripetersi e oltretutto vi è anche un'implicita denuncia del genocidio ebraico; infatti la poesia si ispira ad un Salmo biblico dedicato alla prigionia babilonese degli Ebrei ed il nuovo Nabucodonosor è sicuramente Hitler!

 

 

 

 

                                                                            

 

 

 

 

 

 

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19 giugno 2011 7 19 /06 /giugno /2011 21:07

Umberto Saba rappresenta una voce poetica piuttosto particolare nella lirica del Novecento, poichè egli non si è mai identificato con nessuna delle correnti e delle mode poetiche dominanti nel Novecento, soprattutto si è sempre opposto alla moda ermetica, dal momento che per lui la poesia deve "fare chiarezza" e quindi non può e non deve essere complicata e troppo ricca di metafore astruse.

Il poeta nacque a Trieste nel 1883 ed era di origine ebraica: egli visse fino a vent'anni affidato alla madre, donna dal carattere chiuso e difficile, piena di rancore verso il marito da cui si era separata: il poeta stesso riconobbe più tardi nel rapporto di amore-odio che lo legava alla madre e nell'assenza del padre uno dei motivi che lo condusse a soffrire di una particolare forma di nevrosi. Tale disagio venne aggravato dal fatto che il poeta, all'età di tre anni, dovette separarsi da una balia di origine slovena (l'amatissima "Peppa") a cui era legatissimo.

Trieste era a fine Ottocento un centro culturale periferico, tuttavia all'inizo del Novecento il clima  mutò profondamente, anche grazie alla diffusione nei circoli intellettuali della filosofia di Nietzsche e dell'opera di Italo Svevo; Umberto Saba inoltre collaborò per qualche tempo con gli intellettuali raccolti attorno alla rivista "La Voce", anche se i rapporti del poeta con "i vociani" furono spesso segnati da incomprensioni.

L'intera opera di Saba è raccolta in un unico grande volume intitolato "Il canzoniere", la cui edizione definitiva risale al 1948; le poesie sono dipsoste in ordine cronologico e configurano una vera e propria biografia del poeta.

Per capire la poesia di Saba è necessario rifarsi ad un opuscolo pubblicato sulla rivista "La Voce" nel 1910 ed intitolato:"Ciò che resta da fare i poeti è la poesia onesta".

Per Saba la poesia "onesta" è quella che ha il coraggio di dire la verità sui sentimenti e sulle motivazioni che spingono l'uomo ad agire, è insomma un tipo di lirica che è in grado di scandagliare l'inconscio dell'uomo; l'interesse per la psicanalisi è stato una costante nella vita di Saba, anche perchè effettivamente egli fu costretto a sottoporsi a lunghe sedute psicanalitiche per migliorare la sua nevrosi.

Per il poeta la sofferenza e l'amore sono un'esperienza fondamentale nella vita dell'individuo, proprio perchè attraverso il dolore e l'esperienza dell'amore l'uomo comprende il valore della quotidianità ed è spinto anche a guardarsi dentro per cercare delle risposte sul significato autentico della vita.

Nella poesia di Saba sono presenti figure e temi che restano costantemente uguali a se stessi: la città di Trieste e i suoi fanciulli, i caffè del porto di Trieste, l'amata moglie, gli animali che vengono spesso umanizzati, la nostalgia del  passato e il ricordo dell'infanzia.

Un esempio emblematico forse di tutta la filosofia poetica di Saba è la poesia "Amai", tratta dalla raccolta "Mediterranee":

                                                              Amai trite parole che non uno

                                                              osava. M'incantò la rima fiore

                                                              amore,

                                                              la più antica difficile del mondo.

 

                                                              Amai la verità che giace al fondo,

                                                              quasi un sogno obliato, che il dolore

                                                              riscopre amica. Con paura il cuore

                                                              le si accosta, che più non l'abbandona.

 

                                                              Amo te che mi ascolti e la mia buona carta

                                                              lasciata al fine del mio gioco.

 

Le "trite parole" della prima strofa sono le parole semplici, che descrivono la quotidianità e i problemi che l'uomo deve affrontare ogni giorno, proprio quella semplicità che, nella prima parte del Novecento, era rifiutata da molti intellettuali che al contrario praticavano una poesia quasi "esoterica" per la sua difficoltà ed accessibile ad una ristretta elite culturale (l'Ermetismo appunto); la rima "fiore-amore" è definita difficle proprio perchè il sentimento amoroso è complesso, mette in luce aspetti dell'uomo che la ragione tende a soffocare perchè forse fanno paura.

Infatti subito dopo il poeta dice di "amare la verità che giace al fondo", cioè la parte inconscia dell'individuo, quell'insieme di ricordi e di emozioni che la razionalità rimuove e che comunque, nel bene e nel male, finiscono sempre per guidare le nostre decisioni e le conseguenti azioni.

Il dolore come l'amore è un'esperienza fondamentale, proprio perchè fa sì che la persona abbandoni la gabbia della razionalità per agire in maniera più spontanea e questo è il primo passo per analizzare se stessi ed arrivare fino all'inconscio, non a caso la psicanalisi afferma che per guarire dai mali dell'anima è necessario guardare in faccia ai traumi e alle sofferenze che hanno caratterizzato la nostra vita, senza rimuoverli.

 

 

 

 

 

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7 aprile 2011 4 07 /04 /aprile /2011 21:36

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d'Egitto nel 1888, dove la sua famiglia di origine toscana, precisamente di Lucca, si era trasferita per ragioni di lavoro. Suo padre, che lavorava come operaio alla costruzione del canale di Suez, muore in un incidente; è così la madre che riesce a mandare avanti la famiglia grazie ai guadagni di un negozio della periferia di Alessandria.

Ungaretti ,dopo aver terminato gli studi nelle scuole egiziane, a ventiquattro anni li perfeziona per due anni a Parigi , dove conobbe i rappresentanti più significativi del Futurismo.Acceso sostenitore dell'interventismo, nel 1914 mentre si trova in Versilia, viene richiamato alle armi come fante . E' in questo periodo che Ungaretti scrive le sue poesie più belle. Alla fine della guerra ritorna a Parigi dove si sposa; dal 1936 al 1942 insegna letteratura italiana all'Università di S. Paolo in Brasile. In questo periodo muore suo figlio Antonello di 9 anni . Nel 1948 ricopre la cattedra di letteratura all'Università di Roma fino al 1958.

Muore a Milano all'età di settantadue anni nel 1970. Tra le sue opere più importanti vanno citate: Il porto sepolto, l'Allegria, Il sentimento del tempo, Il dolore, La terra promessa e Il taccuino del vecchio. Oggi è' considerato uno dei più importanti poeti della poesia ermetica.

L'ermetismo

La poesia ermetica fu così chiamata nel 1936 dal critico letterario F. Flora il quale utilizzando l'aggettivo ermetico volle definire un tipo di poesia caratterizzata da un linguaggio difficile , ambiguo e misterioso. Gli ermetici con i loro versi non raccontano , non descrivono , non spiegano , ma fissano sulla pagina dei frammenti di verità a cui sono prevenuti in momenti di grazia , attraverso la rivelazione poetica e non con l' influenza della ragione .

I loro testi sono composti da poche parole , che hanno un'intensa carica simbolica. Gli ermetici si sentono lontani dalla vita sociale , l'esperienza della prima guerra mondiale e del periodo fascista li ha condannati ad una grande solitudine morale, la quale li confina in una ricerca poetica riservata a pochi e priva di impegno sul campo politico.

Gli Ermetici si ispiravano ai poeti francesi del decadentismo, per esempio alla loro elaborazione delle "corrispondenze" e al valore stesso della poesia che diventa uno strumento di conoscenza. La poesia ermetica si distingue per l'uso evocativo della parola, dell'analogia, di figure come la sinestesia. I temi ricorrenti si possono riassumere in a) ricerca del significato della vita attraverso l'indagine interiore della propria esistenza b) portare alla luce frammenti di esistenza, di vita e di natura c) visione non ottimista della vita stessa attraversata dal "male di vivere", quindi poesia ad alto contenuto filosofico. Sono considerati ermetici Montale (che introdusse la tecnica del "correlativo oggettivo"), Quasimodo, Saba, mentre Ungaretti è generalmente indicato come il caposcuola dell'Ermetismo.

Analisi delle poesie di Ungaretti

Le poesie di Ungaretti, sono molto diverse da quelle degli altri poeti. Esse, infatti, sono molto brevi, a volte composte da una sola frase, mancano di punteggiatura ed è molto importante il titolo.

Poesie brevi

Le poesie di Ungaretti sono brevi; infatti l’autore è un poeta ermetico. Questa forma letteraria, difatti, dà poca importanza alla lunghezza della poesia, esaltando invece le emozioni forti, a volte molto evidenti, a volte nascoste.

Mancanza della punteggiatura

La mancanza della punteggiatura dà alla poesia un senso di dolore. Infatti, le poesie di Ungaretti sono molto tristi, essendo ispirate dalla Prima Guerra Mondiale. Anche gli spazi tra una strofa e l’altra sono importanti: danno alla poesia un ritmo simile ad un singhiozzo.

L’importanza del titolo

Il titolo, nelle poesie ermetiche, è molto importante. In esse, infatti, è racchiuso tutto il significato della poesia, e, a volte, ne è racchiusa la morale.

OPERE

Poesia

Il porto sepolto (1916);
Allegria di Naufragi (1919);
Sentimento del tempo (1933);
Il dolore (1947);
La Terra promessa (1950);
Un grido e paesaggi (1952);
Il taccuino del vecchio (1960);
Dialogo d'amore (1958);

Prosa

Il povero nella città (1949);
Il deserto e dopo (1961)

 

Ecco un esempio tratto dalla raccolta "L'allegria"

 

                               Fratelli

 

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte.

 

Foglia appena nata.

 

Nell'aria spasimante

involontaria rivolta

dell'uomo

presente alla sua

fragilità.

 

Fratelli.

 

Come si può notare, la sintassi è ridotta al minimo e il poeta ricorre all'analogia, cioè all'accostamento tra un concetto (quello della fratellanza) e altre realtà che ad esso rimandano: i soldati che combattono nella prima guerra mondiale sono come fragili foglie che possono essere distrutte dal minimo colpo di vento (leggi l'attacco nemico) e viene spontaneo avere un sentimento di rivolta contro questa terribile ed insensata ingiustizia che è il conflitto:il sentimento di fratellanza nasce in Ungaretti dalla condivisione di un destino comune, che conduce la persona a sentirsi, per usare le parole del poeta, come una "docile fibra dell'Universo".

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8 gennaio 2011 6 08 /01 /gennaio /2011 20:21

Normalmente, quando si parla di Montale, si fa riferimento al primo lungo periodo della sua poesia, quello che inizia a partire dalla pubblicazione della raccolta "Ossi di seppia" (1925) fino ad arrivare alla "Bufera ed altro".(1952).

Dopo questo lungo periodo poeticamente proficuo, seguono molti anni di silenzio, durante i quali Montale si dedica prevalentemente all'attività giornalistica:il silenzio poetico si ruppe nel 1971, quando il poeta pubblicò la raccolta "Satura" (1971).

La raccolta riunisce le poesie scritte tra il 1962 e il 1970:i primi due libri (Xenia I e Xenia II) risalgono al periodo degli anni 1962-66, mentre le composizioni di Satura I e Satura II sono state composte negli anni 1968-70.

A proposito di Satura l'autore ha dichiarato in un'intervista che:"Tra i primi tre libri miei e questo quarto sono passati alcuni anni, anni occupati da un mestiere preciso che prima non avevo, quello del giornalista naturalmente.Quando poi ho cominciato a fare qualche epigramma pubblicato in coda a certi elzeviri sul giornale, allora ho scoperto la dimensione di una poesia che apparentemente tende alla prosa e nello stesso tempo la rifiuta".

Di conseguenza tutta la poesia di Satura e poi delle raccolte successive (Diario del '71 e del '72, Quaderno di quattro anni) appare come un tipo di lirica che è molto vicina al genere letterario del diario, in cui gli spunti dell'ispirazione vengono tratti dalla realtà quotidiana;un evento apparentemente banale (ad esempio uno sciopero generale) diventa per l'autore un'occasione per riflettere sulla realtà contemporanea.

La caratteristica principale di tutta la poesia dell'ultimo Montale è la critica della civiltà contemporanea, in cui il dominio eccessivo dei mass-media provoca paradossalmente uno svilimento della comunicazione, che viene ridotta ad uno slogan pubblicitario; il linguaggio poetico viene destabilizzato e nel verso entrano prepotentemente gli slogan e i tormentoni  tipici dei programmi televisivi.

Anche nella raccolta Satura è presente l'elemento femminile, tuttavia esso perde in parte la carica  salvifica e la donna diventa una sapiente accompagnatrice di Montale nel cammino della vita.

Questa caratteristica è presente principalmente nella poesia di Xenia, dedicate alla moglie del poeta (Drusilla Tanzi) chiamata affettuosamente con lo pseudonimo di Mosca; il titolo Xenia richiama il XIII libro degli Epigrammi di Marziale, cioè i "regali per gli ospiti", di conseguenza va inteso come un dono che il poeta fa alla moglie che ormai non c'è più, poichè morì il 20 Ottobre del 1963.

Ecco un esempio importante tratto dalla raccolta Xenia:

 

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

 

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perchè con quattr'occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

 

E' evidente qui che la moglie diventa una sapiente accompagnatrice di Mntale che, grazie al suo intuito, riesce a "vedere" (nonostante sia fisicamente miope!) molto più lontano rispetto al poeta;una volta che tale guida non c'è più, il poeta è costretto ad affrontare la vita da solo e tutto di conseguenza diventa più complicato.

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7 gennaio 2011 5 07 /01 /gennaio /2011 17:01

                                                     LA VITA DEL POETA EUGENIO MONTALE

Eugenio Montale nacque a Genova nel 1896 da una famiglia di commercianti . Per motivi di salute interruppe gli studi regolari alla terza tecnica; da autodidatta arrivò a licenziarsi ragioniere nel 1913. Nel 1917 fu chiamato alle armi. Allievo ufficiale, fu assegnato alle zone di guerra e combattè volontario in Trentino. Il congedo, nel 1920, riportò Montale a Genova e lo reinserì nella vita d'anteguerra: nessun lavoro fisso, il rito delle vacanze estive a Monterosso, nelle Cinque Terre, e in più qualche collaborazione a riviste e giornali, la frequentazione degli ambienti letterari, la nuova amicizia col poeta Camillo Sbarbaro. Nel 1922 l'esordio pubblico sulla rivista torinese "Primo tempo", diretta da Solmi e G. Debenedetti, con i sette componimenti di Accordi e la poesia Riviere, lavori scritti tutti tra il '19 e il '21. Ma la notorietà giunse nel 1925 con la raccolta Ossi di seppia, stampata a Torino dalle edizioni di Gobetti per tramite, ancora, di Solmi (la poesia più antica della raccolta è del 1916: Meriggiare pallido e assorto). Nello stesso anno una serie di interventi pubblici precisò la fisionomia politico - letteraria di Montale: sottoscrisse il manifesto crociano degli intellettuali antifascisti; pubblicò sulla rivista milanese "L'Esame" l'Omaggio a Italo Svevo, con il quale per primo impose all'attenzione della critica l'opera dello scrittore triestino.

Lasciata Genova nel 1927, Montale si trasferì a Firenze. Gli anni fiorentini segnarono il superamento dell'universo poetico ligure e videro la gestazione di Le occasioni, raccolta uscita nel 1939, ma anticipata nel 1932 da La casa dei doganieri e altri versi, e contenente liriche che risalivano fino al 1926. Si trattò di un periodo di grande attività: Montale, dopo iniziali contatti con il gruppo di Papini, si legò strettamente agli scrittori antifascisti riuniti intorno alla rivista " Solaria " e al caffè delle " Giubbe rosse "; tradusse molto, dapprima scegliendo poeti che sentiva congeniali come Eliot, Pound, Yeats e altri (sono le versioni raccolte nel Quaderno di traduzioni, 1948), poi, dopo il licenziamento dal Vieusseux, per necessità (Melville, Steinbeck, Fitzgerald, Marlowe, Shakespeare); a Firenze conobbe nel 1927 Drusilla Tanzi, che divenne poi la sua compagna, e infine sua moglie. Nei 1943 pubblicò a Lugano le poesie di Finisterre, che andranno a costituire il primo nucleo della sua terza raccolta: La bufera e altro, del 1956.

Milano fu la terza città di Montale. Vi si trasferì nel 1948, assunto come redattore al "Corriere della sera". Con l'uscita, nel 1956 (contemporaneamente a La bufera), della raccolta di ricordi e confessioni La farfalla di Dinard, risultò evidente l'organica connessione che si era instaurata, nel mondo espressivo di Montale, fra prosa e poesia (confermata anche, dieci anni dopo, dagli scritti di costume di Auto da fé, che anticiparono l'ironia e il moralismo di molti versi successivi). La raccolta Satura (1971), comprendente gli Xenia dedicati alla moglie morta nel 1963 e già pubblicati nel '66, riaprì in modo quasi inaspettato, un ciclo di grande fertilità poetica, una "quarta stagione" montaliana. In pochi anni, dopo Satura, comparvero altre due raccolte, Diario de/ '71 e del '72 (1973) e Quaderno di quattro anni (1977). Montale passò gli ultimi anni di vita a Milano, assistito dalla governante Gina Tiossi. Nel 1967 fu nominato senatore a vita (aderì in senato al raggruppamento liberale). Nel 1975 gli fu conferito il premio Nobel. Morì nel 1981.

LA POESIA DI MONTALE

Il motivo di fondo della poesia di Montale è una visione pessimistica e desolata della vita del nostro tempo, in cui, crollati gli ideali romantici e positivistici, tutto appare senza senso, oscuro e misterioso. Vivere, per lui, è come andare lungo una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia (Meriggiare pallido e assorto) e che impedisce di vedere cosa c'è al di là, ossia lo scopo e il significato della vita. Né d'altra parte c'è alcuna fede religiosa o politica che possa consolare e liberare l'uomo dall'angoscia esistenziale. Nemmeno la poesia, che per Ungaretti e in genere per i poeti del Decadentismo è il solo strumento per conoscere la realtà, può offrire all'uomo alcun aiuto. Perciò, egli scrive, "non domandarci la formula che mondi possa aprirti", ossia la parola magica e chiarificatrice, che possa darti delle certezze, come pensano di dirla "i poeti laureati". L'unica cosa certa che egli possa dire, è "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo", ossia gli aspetti negativi della nostra vita.

Di fronte al "male di vivere" non c'è altro bene che "la divina Indifferenza", ossia il distacco dignitoso dalla realtà, essere come una statua o la nuvola o il falco alto levato (Spesso il male di vivere). Questa indifferenza non è sempre concessa al poeta, il quale è spesso preso dalla nostalgia di un mondo diverso, dall'ansia di scoprire "una maglia rotta nella rete / che ci stringe", "lo sbaglio di natura", "che ci metta nel mezzo di una verità". La negatività di Montale oscilla tra la constatazione del "male vivere" e la speranza vana, ma sempre risorgente, del suo superamento. Basta guardarsi intorno, suggerisce Montale, per scoprire in ogni momento e in ogni oggetto che osserviamo il male di vivere, come nei paesaggi aspri della Liguria, nei muri scalcinati, nei greti dei torrenti, nel rivo strozzato che gorgoglia, nella foglia riarsa che s'accartoccia, nel cavallo stramazzato di Spesso il male di vivere.

Ogni paesaggio e ogni oggetto è visto da Montale contemporaneamente nel suo aspetto fisico e metafisico, nel suo essere cosa e simbolo della condizione umana di dolore e di ansia. E' questa la tecnica del "correlativo oggettivo", teorizzata dal poeta inglese T.S. Eliot, consistente nell'intuizione di un rapporto tra situazioni e oggetti esterni e il mondo interiore. La stessa visione tragica della vita ispira le liriche della seconda raccolta, Occasioni (1939). In essa Montale rievoca le "occasioni" della sua vita passata, amori, incontri di persone, riflessioni su avvenimenti, paesaggi, ricordati non per nostalgia del passato a consolazione del presente, come avviene in Quasimodo, ma per analizzarle e capirle nel loro valore simbolico, come altre esemplificazioni del male di vivere, così che anche il recupero memoriale, tema consueto del Decadentismo, il Montale si risolve in una conferma della propria solitudine e angoscia esistenziale.

Il male di vivere è, per esempio, in Dora Markus. Dora Markus è una donna che il poeta ha conosciuto a Porto Corsini presso Ravenna. Nella prima parte la donna è colta nella sua inquietudine e incertezza, che cerca di scongiurare affidandosi a un amuleto, un topo bianco d'avorio, racchiuso nella borsetta. Nella seconda parte è colta nella sua casa di Carinzia, ripresa dalle sue abitudini casalinghe, ignara che su lei, ebrea, e sull'Europa indifferente "distilla veleno / una fede feroce": è il presentimento delle persecuzioni naziste e della guerra. In un'altra poesia (Non recidere, forbice), Montale accenna alla forza disgregatrice del tempo, che ci porta via anche i ricordi più belli. Nella memoria che si sfolla, da cui cioè svaniscono persone e cose care, non recidere, o forbice, invoca il poeta, l'ultimo volto caro che vi è rimasto. Ma è inutile supplicare, un colpo di scure colpisce la vetta dell'albero e l'acacia ferita lascia cadere il guscio di una cicala nel primo fango di novembre. Tutto dunque svanisce lasciando l'uomo in una fredda solitudine.

Nella Casa dei doganieri il poeta ricorda la casa a strapiombo sulla scogliera, che era stata luogo degli incontri con la donna amata; ma il ricordo di quella casa è vivo solo in lui, mentre la donna, frastornata da altre vicende, ha dimenticato. Anche qui la rievocazione del passato si risolve per il poeta in una conferma del "male di vivere", della nostra solitudine.

Temi analoghi, tutti centrati sul male di vivere si leggono nelle due ultime raccolte di liriche, La bufera ed altro (1957), in cui la guerra è l'altra "occasione" di meditazione del poeta, e Satura (1971), che comprende una serie di colloqui del poeta con la moglie Drusilla Tanzi su episodi di vita passata. Questa sostanziale identità di temi, da Ossi di seppia a Satura, discosta Montale da Ungaretti. Mentre in Ungaretti l'"uomo di pena" si trasforma in uomo di fede, Montale rimane sempre solo uomo di pena.

In particolare una poesia che maggiormente è emblematica della visione della vita montaliana è "Felicità raggiunta" (Ossi di seppia), che riporto integralmente:

 

Felicità raggiunta,

si vive per te su fil di lama.

Agli occhi sei barlume che vacilla,

ai piedi ghiaccio teso che s'incrina

e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase di tristezza e le schiari,

il tuo mattino è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.

Ma nulla paga il pianto del bambino

a cui fugge il pallone tra le case.

 

In questa lirica è racchiusa tutta la poetica montaliana, basata appunto sul contrasto tra l'incontenibile desiderio umano di gioia e la limitatezza del reale, per cui proprio chi desidera più ardentemente la felicità non deve assolutamente "toccarla":basta un nulla ed ecco che il fantasma della gioia svanisce, proprio come quel pallone tanto amato dal bambino che ricorda, alla lontana, il "garzoncello scherzoso" di cui parlava il Leopardi nella lirica "Il sabato del villaggio".

 

 

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7 gennaio 2011 5 07 /01 /gennaio /2011 16:49

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