Gabriele D'Annunzio è un autore che ha sempre suscitato reazioni forti, di esaltazione come di feroce critica: una cosa è certa, lo si può amare o detestare, ma egli non lascia mai indifferenti, visto che ha fatto dell'eccesso la sua principale ragione di vita.
Egli inoltre è sicuramente un "classico", cioè un autore che, secondo la definizione di Umberto Eco, "non smette mai di parlare al mondo contemporaneo", nel senso che il suo messaggio è sempre in qualche modo attuale.
L'autore può essere considerato come il principale rappresentante del Decadentismo italiano, vista anche la profonda conoscenza che egli aveva della letteratura francese: in particolare D'Annunzio assimila e fa propria la teoria delle "corrispondenze" di Baudelaire, secondo cui ogni aspetto della realtà è il simbolo di qualcos'altro e la poesia ha la capacità quasi magica di svelare il mistero della vita.
Molti aspetti del carattere e della vita di D'Annunzio appaiono sicuramente riconducibili al Decadentismo: la passione per il bello, l'abbigliamento elegantissimo, il culto dell'apparire sono infatti caratteristiche tipiche del letterato Decadente, che aspira a fare della propria vita un'opera d'arte (si veda l'articolo "Charles Baudelaire e il decadentismo").
L'opera dannunziana ha rappresentato inoltre per l'Italia un formidabile strumento di conoscenza della letteratura europea: l'autore era infatti abilissimo nel seguire con grande originalità le mode letterarie dell'epoca (dal Naturalismo al Simbolismo), anticipandone perfino i temi e i contenuti; l'elemento autobiografico è sempre presente in tutte le opere dannunziane, proprio per realizzare quell'identificazione tra vita e opera tanto cara ai seguaci del Decadentismo.
Ezio Raimondi, uno dei principali critici letterari, afferma che il poeta possedeva una capacità incredibile di percepire i gusti letterari del pubblico e di adeguarvisi:di conseguenza le sue pubblicazioni avevano un successo immediato ed erano prontamente tradotte in molte lingue.
Il linguaggio della poesia di D'Annunzio (ma anche della prosa) è aulico e prezioso, ricco di termini rari e caratterizzato da una grande musicalità: molto spesso l'autore imita lo stile dei testi letterari classici, con particolare riferimento all'antichità greca e romana.
I risultati più alti della poesia dannunziana si raggiungono con il ciclo delle Laudi, che raggruppano tre diverse raccolte di liriche: Maia, Elettra e Alcyone, ciascuna delle quali prende il nome dalle stelle della costellazione delle Pleiadi.
La raccolta Maia comprende le poesie scritte tra il 1902 e il 1903 e fu pubblicata nel 1903 dall'editore Treves: la fonte di ispirazione è data da un viaggio in Grecia compiuto da D'Annunzio nell'estate del 1895 assieme ad alcuni amici letterati, come Edoardo Scarfoglio ed Herelle.
I miti poetici di questa raccolta si rifanno all'antica Grecia, in particolare è presente la figura di Ulisse, simbolo dell'uomo alla ricerca di una patria e nello stesso tempo amante del rischio e dell'avventura: D'Annunzio esprime una vera e propria religiosità pagana, incentrata sul culto del Dio Pan (dio della fecondità e della forza rigeneratrice della natura), che rappresenta la pienezza della vita cosmica.
Il poeta infatti considera il mondo pagano come espressione di un'epoca felice della storia umana, in cui gli uomini erano liberi di vivere la vita in tutti i suoi aspetti, senza l'opprimente senso del peccato tipico della cultura ebraico-cristiana: in questo senso egli è molto vicino alle posizioni di Giosuè Carducci, poeta particolarmente amato e stimato da D'Annunzio.
Il paganesimo dannunziano viene espresso chiaramente nei versi iniziali della raccolta Maia, che contengono un Inno alla Vita vista come un dono del dio Dioniso (dio pagano dell'ebbrezza).
Ecco ii primi ventun versi del testo.
Inno alla Vita
O Vita, O Vita,
dono terribie del Dio,
come una spada fedele,
come una ruggente face,
come la gorgona,
come la centaurea veste;
o Vita, o Vita,
dono d'oblio,
offerta agreste,
come un'acqua chiara,
come una corona,
come un fiale, come il miele
che la bocca separa
dalla cera tenace;
o Vita, o Vita,
dono dell'immortale
alla mia sete crudele,
alla mia fame vorace,
alla mia sete e alla mia fame
d'un giorno, non dirò io
tutta la tua bellezza?
Questo testo si basa su un calcolo ben preciso di simmetrie e di ripetizioni, che danno all'inno alla Vita un'articolazione enfatica ma nello stesso tempo razionale, quasi geometrica.
Il lungo periodo iniziale è diviso in tre parti quasi uguali per la misura (6 versi +8+7), separate tra loro dal punto e virgola e aperte ciascuna da un verso identico:è utilizzatissimo il "come", che propone una varietà di similitudini che fanno riferimento ai diversi aspetti della Vita e all'amore che il poeta esprime verso di essa.
Nella prima parte (versi 1-6) predominano i paragoni che si riferiscono agli aspetti più "terribili" e dolorosi dell'esistenza ( la spada, la face ruggente, ecc.); nella seconda (versi 7-14) le similitudini riguardano invece gli aspetti dolci e gradevoli della Vita ( il dono d'oblio, la corona, il miele);infine nell'ultima parte ( versi 15-21) D'Annunzio esprime il suo grande amore per l'esistenza in tutte le sue manifestazioni e si propone di celebrarne la bellezza.
Il fittissimo gioco di ripetizioni, di similitudini, il linguaggio enfatico servono a colpire il lettore e ad imprimergli nella mente il tema di fondo: l'inno alla Vita come manifestazione di potenza e di pienezza.