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10 maggio 2012 4 10 /05 /maggio /2012 14:02

Gabriele D'Annunzio è un autore che ha sempre suscitato reazioni forti, di esaltazione come di feroce critica: una cosa è certa, lo si può amare o detestare, ma egli non lascia mai indifferenti, visto che ha fatto dell'eccesso la sua principale ragione di vita.

Egli inoltre è sicuramente un "classico", cioè un autore che, secondo la definizione di Umberto Eco, "non smette mai di parlare al mondo contemporaneo", nel senso che il suo messaggio è sempre in qualche modo attuale.

L'autore può essere considerato come il principale rappresentante del Decadentismo italiano, vista anche la profonda conoscenza che egli aveva della letteratura francese: in particolare D'Annunzio assimila e fa propria la teoria delle "corrispondenze" di Baudelaire, secondo cui ogni aspetto della realtà è il simbolo di qualcos'altro e la poesia ha la capacità quasi magica di svelare il mistero della vita.

Molti aspetti del carattere e della vita di D'Annunzio appaiono sicuramente riconducibili al Decadentismo: la passione per il bello, l'abbigliamento elegantissimo, il culto dell'apparire sono infatti caratteristiche tipiche del letterato Decadente, che aspira a fare della propria vita un'opera d'arte (si veda l'articolo "Charles Baudelaire e il decadentismo").

L'opera dannunziana ha rappresentato inoltre per l'Italia un formidabile strumento di conoscenza della letteratura europea: l'autore era infatti abilissimo nel seguire con grande originalità le mode letterarie dell'epoca (dal Naturalismo al Simbolismo), anticipandone perfino i temi e i contenuti; l'elemento autobiografico è sempre presente in tutte le opere dannunziane, proprio per realizzare quell'identificazione tra vita e opera tanto cara ai seguaci del Decadentismo.

Ezio Raimondi, uno dei principali critici letterari, afferma che il poeta possedeva una capacità incredibile di percepire i gusti letterari del pubblico e di adeguarvisi:di conseguenza le sue pubblicazioni avevano un successo immediato ed erano prontamente tradotte in molte lingue.

Il linguaggio della poesia di D'Annunzio (ma anche della prosa) è aulico e prezioso, ricco di termini rari e caratterizzato da una grande musicalità: molto spesso l'autore imita lo stile dei testi letterari classici, con particolare riferimento all'antichità greca e romana.

I risultati più alti della poesia dannunziana si raggiungono con il ciclo delle Laudi, che raggruppano tre diverse raccolte di liriche: Maia, Elettra e Alcyone, ciascuna delle quali prende il nome dalle stelle della costellazione delle Pleiadi.

La raccolta Maia  comprende le poesie scritte tra il 1902 e il 1903 e fu pubblicata nel 1903 dall'editore Treves: la fonte di ispirazione è data da un viaggio in Grecia compiuto da D'Annunzio nell'estate del 1895 assieme ad alcuni amici letterati, come Edoardo Scarfoglio ed Herelle.

I miti poetici di questa raccolta si rifanno all'antica Grecia, in particolare è presente la figura di Ulisse, simbolo dell'uomo alla ricerca di una patria e nello stesso tempo amante del rischio e dell'avventura:  D'Annunzio esprime una vera e propria religiosità pagana, incentrata sul culto del Dio Pan (dio della fecondità e della forza rigeneratrice della natura), che rappresenta la pienezza della vita cosmica.

Il poeta infatti considera il mondo pagano come espressione di un'epoca felice della storia umana, in cui gli uomini erano liberi di vivere la vita in tutti i suoi aspetti, senza l'opprimente senso del peccato tipico della cultura ebraico-cristiana: in questo senso egli è molto vicino alle posizioni di Giosuè Carducci, poeta particolarmente amato e stimato da D'Annunzio.

Il paganesimo dannunziano viene espresso chiaramente nei versi iniziali della raccolta Maia, che contengono un Inno alla Vita vista come un dono del dio Dioniso (dio pagano dell'ebbrezza).

Ecco ii primi ventun versi del testo.

 

                                                                      Inno alla Vita

 

O Vita, O Vita,

dono terribie del Dio,

come una spada fedele,

come una ruggente face,

come la gorgona,

come la centaurea veste;

o Vita, o Vita,

dono d'oblio,

offerta agreste,

come un'acqua chiara,

come una corona,

come un fiale, come il miele

che la bocca separa

dalla cera tenace;

o Vita, o Vita,

dono dell'immortale

alla mia sete crudele,

alla mia fame vorace,

alla mia sete e alla mia fame

d'un giorno, non dirò io

tutta la tua bellezza?

 

Questo testo si basa su un calcolo ben preciso di simmetrie e di ripetizioni, che danno all'inno alla Vita un'articolazione enfatica ma nello stesso tempo razionale, quasi geometrica.

Il lungo periodo iniziale è diviso in tre parti quasi uguali per la misura (6 versi +8+7), separate tra loro dal punto e virgola e aperte ciascuna da un verso identico:è utilizzatissimo il "come", che propone una varietà di similitudini che fanno riferimento ai diversi aspetti della Vita e all'amore che il poeta esprime verso di essa.

Nella prima parte (versi 1-6) predominano i paragoni che si riferiscono agli aspetti più "terribili" e dolorosi dell'esistenza ( la spada, la face ruggente, ecc.); nella seconda (versi 7-14) le similitudini riguardano invece gli aspetti dolci e gradevoli della Vita ( il dono d'oblio, la corona, il miele);infine nell'ultima parte ( versi 15-21) D'Annunzio esprime il suo grande amore per l'esistenza in tutte le sue manifestazioni e si propone di celebrarne la bellezza.

Il fittissimo gioco di ripetizioni, di similitudini, il linguaggio enfatico servono a colpire il lettore e ad imprimergli nella mente il tema di fondo: l'inno alla Vita come manifestazione di potenza e di pienezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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3 maggio 2012 4 03 /05 /maggio /2012 19:14

La lirica "Meriggiare pallido e assorto" fa parte degli Ossi di Seppia, la prima raccolta poetica di Montale.

La raccolta ebbe molte edizioni (1925, 1928 e 1931) e comprende le poesie scritte tra il 1920 e il 1925, anche se "Meriggiare pallido e assorto" risale al 1916.

Il pensiero poetico e filosofico di Montale è molto evidente in questa raccolta:per l'autore il senso complessivo della vita è estremamente difficile da afferrare e le certezze religiose o ideologiche non sono altro che comode e facili illusioni, che pretendono di comprendere ciò che non è alla portata della ragione. Di conseguenza il percorso della vita appare complicato e difficile, soprattutto il poeta non può avere la "parola che squadri da ogni lato" l'animo umano ("Non chiederci la parola"):egli è e vuole essere l'esatto opposto dei poeti portatori di certezze, soprattutto Montale si oppone all'arte di D'Annunzio, piena di retorica e caratterizzata da un linguaggio pomposo e artefatto.

Il pessimismo di Montale deriva anche dalla sua opposizione al fascismo, a cui egli fu sempre ostile:l'autore vede infatti nei riti del fascismo (adunate, manifestazioni, ecc.) l'espressione di un'ideologia di sopraffazione e di morte, il cui sblocco obbligato è appunto il secondo conflitto mondiale.

Lo sfondo paesaggistico delle poesie di "Ossi di seppia" è rappresentato dalla costa ligure, dove Montale aveva trascorso le estati della sua adolescenza: il paesaggio ligure, assolato e arido, è visto però come il simbolo di una condizione umana di solitudine e di abbandono.

Negli Ossi di Seppia Montale non ha un "tu" con cui dialogare, a differenza delle raccolte successive in cui emerge fortemente la figura femminile: il poeta usa spesso l'infinito per indicare le azioni abituali e ripetute e usa un linguaggio molto complesso, pieno di termini tecnici o derivati dal dialetto.

Un elemento importantissimo del linguaggio degli Ossi è quello che il critico letterario Mengaldo ha definito "slittamento semantico": alcune parole vengono usate secondo un significato diverso da quello comune,, recuperando cioè un significato marginale che si era perso nel tempo.

Ogni oggetto poetico degli Ossi è definito da Montale in modo chiarissimo ed inequivocabile, con un solo significato possibile: il risultato è un linguaggio privo di ambiguità, in cui persone, cose e stati d'animo rimangono fortemente impresse nella memoria del lettore.

Ecco la lirica "Meriggiare pallido e assorto"

 

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 

                                                                                

E' interessante notare come in questo caso una delle fonti principali di ispirazione per Montale sia Dante, in primo luogo il canto tredicesimo dell'Inferno (la selva dei suicidi e di Pier della Vigna, vv. 31-39).

Ecco il testo dantesco

 

Allor posi la mano un poco avante,

e colsi un ramicel da un gran pruno,

e'l tronco suo gridò :"Perchè mi schiante?"

 

Da che fatto fu poi di sangue bruno,

ricominciò a dir: "Perchè mi scerpi?

non hai tu spirto di pietà alcuno?

 

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi:

ben dovrebb'essere la tua man più pia,

 se state fossimo anime di serpi".

 

Confrontando i due testi, si nota l'uso comune di alcune parole ("serpi" e "sterpi" in primo luogo), ma anche l'insistenza sui suoni aspri e duri, sugli scontri tra consonanti:di derivazione dantesca è anche la rima "formiche-biche", la si trova infatti in alcuni passi dell'Inferno di Dante.

Ma è presente, almeno in parte, anche l'influenza di D'Annunzio, infatti "il palpitare lontano di scaglie di mare" ricorda i versi iniziali di una famosa poesia dannunziana della raccolta Alcyone, cioè l'Onda: "Nella cava tranquilla scintilla intesto di scaglia, come l'antica lorica del catafratto, il Mare".

Il verbo "Meriggiare" , inoltre, è usato da D'Annunzio in alcuni punti del romanzo "Il fuoco" ("Nè colui che meriggia profondato nella messe matura sotto la canicola") e la situazione descritta è simile a quella rappresentata da Montale.

Un'altra probabile fonte di ispirazione è persino rintracciabile nel libretto dell'opera di Verdi Otello, scritto da Arrigo Boito("E' suo costume irsene a meriggiar tra quelle fronde..."); è importante ricordare che Montale era un grande frequentatore di teatri operistici e, nel 1915, aveva cominciato a studiare canto proprio da baritono, cioè nell'estensione vocale del personaggio di Jago.

E' veramente difficile dire quale sia stata la fonte di ispirazione determinante, tuttavia è possibile che queste letture abbiano in ugual misura influito nella creazione della lirica "Meriggiare pallido e assorto".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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1 maggio 2012 2 01 /05 /maggio /2012 09:50

Giorgio Caproni è stato uno dei più importanti poeti del Novecento ed appartiene a quella che Pier Paolo Pasolini definì come la "linea poetica antinovecentesca", caratterizzata da uno stile limpido e chiaro e dal recupero, almeno parziale, delle regole metriche tradizionali.

Il poeta nacque a Livorno nel 1912, ma poi a dieci anni si trasferì a Genova, città a cui rimase sempre molto affezionato, tanto da definirla "città dell'anima": dopo la guerra si trasferì definitivamente a Roma e morì nel 1990.

I temi fondamentali della poesia di Caproni sono sostanzialmente tre: la città, la madre e il viaggio.

Tutte le raccolte poetiche giovanili (da "Come un'allegoria" sino a "Stanze della funicolare") confluiscono  nel Passaggio di Enea (1956):la figura mitologica di Enea rappresenta per il poeta l'uomo che recupera il passato e affronta con difficoltà il futuro, alla ricera di un approdo, di una "Terra Promessa" in cui ricostruire la propria vita dopo le rovine della guerra.

Per Caproni l'esistenza umana non è altro se non un viaggio verso una destinazione ignota ed il futuro è sempre visto come incerto e difficie da prevedere:l'esperienza tragica della morte, inoltre, fa sì che ognuno di noi si interroghi sul senso della vita, dal momento che tutto ciò che si è faticosamente costruito sembra crollare definitivamente.

Un altro tema fondamentale della poesia di Caproni è il ricordo della madre, a cui Caproni dedicò la raccolta intitolata "Il seme del piangere": il poeta immagina di ritornare indietro nel tempo e di rivivere con la madre gli anni precedenti la sua stessa nascita. Il rapporto che il poeta instaura con la madre,nella finzione poetica, è di tipo edipico:egli immagina infatti di "fidanzarsi" con la madre, in un amore immaginario che supera i confini dello spazio e del tempo.

Caproni dedicò alla madre la poesia "Per lei", che introduce la raccolta "Il seme del piangere", dedicata al ricordo della madre morta:il componimento è anche e soprattutto un importante manifesto di poetica.

Ecco il testo.

                                                                     

                                                                                                  PER LEI 

 

Per lei voglio rime chiare,
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era cosí schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.

 

 Questo testo racchiude in sè tutte le caratteristiche della poesia di Caproni: la volontà di chiarezza, l'uso di uno stile limpido, semplice ma non per questo banale, lontano dagli artifici di certa poesia del Novecento.

Lo stile impiegato deve riflettere il carattere della madre, che era appunto sincero e schietto, trasparente.

Il linguaggio di Caproni parte da un sapiente recupero della metrica tradizionale, che viene però immediatamente modificata al suo interno: sono frequenti gli enjambements, che danno vita ad un ritmo cadenzato mentre l'uso abbondante di rime, assonanze e consonanze crea una piacevole musicalità.

 

 

 

 

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30 aprile 2012 1 30 /04 /aprile /2012 00:00

La poesia "Parole" di Umberto Saba è la lirica introduttiva dell'omonima raccolta, che comprende una trentina di liriche scritte dall'autore tra il 1932 e il 1934.

La raccolta, insieme con la successiva (Ultime cose), segna una tappa importante nel percorso artistico del poeta, perchè inaugura una serie di poesie caratterizzata dall'introspezione e dall'uso di un linguaggio particolarmente limpido ed aulico.

In queste poesie Saba abbandona quasi completamente l'elemento narrativo presente nelle lriche della sua giovinezza, inizia a prediligere piccoli componimenti con la presenza di analogie simili a quelle ermetiche.

In particolare le poesie di "Parole" ed "Ultime cose" sviluppano un tema che in realtà è sempre stato fondamentale nella poesia di Saba: l'analisi del mondo inconscio dell'uomo,dei suoi desideri nascosti e soffocati dai pregiudizi e dalle finzioni della vita sociale.

A questo proposito è opportuno notare come il poeta parli di "verità che giace al fondo" e con questo vuole indicare il mondo oscuro dell'inconscio, fatto di pulsioni che solo in minima parte affiorano alla coscienza.

In questo contesto l'arte poetica ha il compito (assai difficile) di portare alla luce i sentimenti più profondi e nascosti dell'animo umano, ma per fare questo bisogna prima abbattere tutte le finzioni e i pregiudizi con cui quotidianamente mentiamo a noi stessi.

Ecco il testo della poesia "Parole"

 

                                                                                           PAROLE

 

Parole,

dove il cuore dell'uomo si specchiava

Per-nudo e sorpreso- alle origini; un angolo

cerco nel mondo, l'oasi propizia

a detergere voi con il mio pianto

dalla menzogna che vi acceca. Insieme

delle memorie spaventose il cumulo

si scioglierebbe, come neve al sole.

 

Questo testo è in realtà un vero e prorpio manifesto di poetica: Saba vuole far sì che gli uomini si guardino dentro e cerchino di liberarsi dalle menzogne tipiche del vivere comune.

Le parole della lirica sono quindi sia le parole poetiche sia i messaggi che provengono dall'inconscio di ognuno: l'oasi propizia del verso 4 non è un luogo preciso e determinato, ma è semmai il momento favorevole all'introspezione e alla scoperta dei veri sentimenti nascosti nell'animo.

E' interessante analizzare l'espressione "detergere voi con il mio pianto dalla menzogna": per Saba l'esperienza della sofferenza fa sì che le persone diventino più autentiche, si guardino dentro ed assumano un comportamento più sincero, più libero dall'ipocrisia e dalla finzione.

Stilisticamente la poesia si allontana dalla discorsività tipica di altri componimenti dello stesso autore: manca infatti ciò a cui Saba ha sempre abituato il lettore, cioè lo spunto realistico, la descrizione della vita quotidiana.

Al contrario, qui siamo molto vicini al inguaggio della poesia ermetica: lo spazio e il tempo sono indeterminati e molto vaghi (l'oasi propizia, alle origini, un angolo nel mondo), l'intero discorso tende a diventare astratto e valido in ogni circostanza e in ogni luogo.

La lirica è assai vicina, per temi e linguaggio, al componimento "Amai" (raccolta "Mediterranee"), in cui appunto il poeta afferma di amare "trite parole che non uno osava" e definisce la verità come "un sogno obliato, che il dolore riscopre amica".

Per chi volesse farsi un'idea più dettagliata della poesia sabiana, consiglio di consultare il seguente testo: Aa. Vv., "Umberto Saba, Trieste e la cultura mitteleuropea", Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, 1986.

 

 

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7 aprile 2012 6 07 /04 /aprile /2012 00:00

La lirica "A Silvia" è sicuramente una delle più famose poesie di Leopardi, ma è anche qualcosa di più: il testo rappresenta una delle più chiare testimonianze della visione della vita leopardiana, del suo modo di rapportarsi al mondo e ai sentimenti.

Innazitutto è importante sottolineare che non è l'amore in sè il tema principale della poesia, perchè il sentimento amoroso è solo un punto di partenza per esprimere riflessioni più generali riguardanti il senso della vita e la crudeltà della natura (tema centrale in Leopardi) che spezza tragicamente le illusioni dell'uomo; Silvia del resto è una proiezione dell'autore, è il simbolo della delusione che attende ogni essere umano allo svanire della giovinezza.

E' interessante notare come Leopardi avesse concepito l'idea di un romanzo autobiografico che s'intitolava proprio "Vita di Silvio Sarno", in evidente somiglianza proprio con la famosa Silvia della poesia.

La composizione della poesia iniziò nell'aprile del 1828, un periodo particolarmente proficuo per Leopardi e che giunse dopo una fase piuttosto lunga di silenzio poetico (dal 1823 al 1828); nello Zibaldone Leopardi dice testualmente che:"Uno dei maggiori frutti ch'io mi propongo e spero dai miei versi è che essi riscaldino la mia vecchiezza col calore della mia gioventù", quasi come se la poesia avesse il potere magico di riportare il Leopardi ormai adulto a rivivere le speranze e le illusioni della sua adolescenza.

Dal punto di vista metrico la lirica è una canzone libera con un elemento costante:i primi e gli ultimi versi di ogni strofa sono sempre composti da sette sillabe (settenari). Ecco il testo.

 

                                                                                                 A Silvia

Silvia, rimembri ancora

quel tempo della tua vita mortale,

quando beltà splendea

negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

e tu, lieta e pensosa, il limitare

di gioventù salivi?

 

Sonavan le quiete

stanze e le vie dintorno

al tuo perpetuo canto,

allor che all'opre femminili intenta

sedevi, assai contenta

di quel vago avvenir ch'in mente avevi.

Era il maggio odoroso; e tu solevi

così menare il giorno.

 

Io gli studi leggiadri

talor lasciando e le sudate carte

ove il tempo mio primo

e di me si spendea la miglior parte,

d'in su i veroni del paterno ostello

porgea gli orecchi al suon della tua voce,

ed alla man veloce

che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno

le vie dorate e gli orti,

e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.

Lingua mortal non dice

quel ch'io sentiva in seno.

 

Che pensieri soavi,

che pseranze, che cori, o Silvia mia!

Quale allor ci apparia

la vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme,

un affetto mi preme

acerbo e sconsolato,

e tornammi a doler di mia sventura.

O natura, o natura,

perchè non rendi più

quel che prometti allor? perchè di tanto

inganni i figli tuoi?

 

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,

da chiuso morbo combattuta e vinta,

perivi, o tenerella. E non vedevi

il fior degli anni tuoi,

non ti molceva il core

la dolce lode or delle negre chiome,

or degli sguardi innamorati e schivi;

nè teco le compagne ai dì festivi

ragionavan d'amore.

 

Anche peria tra poco

la speranza mia dolce; agli anni miei

anche negaro i fati

la giovanezza. Ahi come,

come passata sei,

cara compagna dell'età mia nova,

mia lacrimata speme!

Questo è quel mondo?questi

i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi

di cui cotanto ragionammo insieme?

Questa è la sorte dell'umane genti?

All'apparir del vero

tu, misera, cadesti:e con la mano

la fredda morte ed una tomba ignuda

mostravi di lontano.

 

La struttura della poesia è tale da costruire un paragone molto forte tra Leopardi e Silvia, personaggio identificabile con Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi; il parallelismo tra il poeta e Silvia è evidentissimo nella seconda e terza strofa, infatti entrambi i protagonisti sono giovani, sono intenti a lavorare e coltivano grandi speranze per il futuro.

L'intera lirica può dividersi in due parti:nella prima il poeta crea un parallelo tra lui e Silvia e ricorda le illusioni dell'adolescenza;nella seconda (dalla quarta strofa in poi) Leopardi espone tutta una serie di riflessioni sulla crudeltà della natura (o del Fato) che prima illude gli uomini, li fa sperare nel futuro, ma poi quasi sadicamente distrugge le speranze e le trasforma in illusioni.

Il riferimento alla morte di Silvia è comunque reale, perchè Teresa Fattorini morì di tubercolosi (il chiuso morbo) molto prematuramente ed anche in questo caso si può vedere una somiglianza con il destino di Leopardi, anch' egli tormentato da una seria forma di tubercolosi ossea.

Il grande studioso leopardiano Giuseppe De Robertis afferma che il linguaggio della poesia risente molto dello stile delle Operette Morali (opera in prosa), in cui Leopardi espone la propria concezione pessimistica della vita; infatti il poeta usa vocaboli molto rari e preziosi, come "ostello" (a lposto del più comune casa), "splendea", "rimembri" (usato spesso da Petrarca nel Trecento).

Un'altra importante influenza è dato dallo stile tipico di liriche precedenti, come l'Infinito:infatti si nota un uso frequente del gerundio e l'uso di aggettivi come "vago avvenir", "occhi ridenti e fuggitivi", che danno un sapore misterioso alla figura di Silvia e ai suoi sogni.

L'uso di aggettivi quali "vago, fuggitivo, ecc." fa parte di quella che i critici leopardiani hanno definito come "poetica dell'indefinito":Leopardi usa volutamente termini astratti e vaghi per trasmettere una sensazione indefinita di gioia mista però ad inquietudine.

In questa lirica, oltretutto, la musicalità leopardiana raggiunge livelli altissimi, forse superiori alle altre liriche:fin dalla prima strofa si instaura una complessa rete di assonanze e consonanze, soprattutto legate alla ripetizione deluono della "S", presente in "Salivi, sonavan, stanze":addirittura si può notare come nella prima strofa la parola Silvia sia contenuta nel termine "salivi" che ne è un vero e proprio anagramma (gioco di parole basato sul cambio dell'ordine delle lettere).

L'anagramma in questo caso non è ovviamente un semplice gioco di parole, ma serve ad evocare la presenza della fanciulla, quasi a volerla richiamare in vita.

 

 

 

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2 aprile 2012 1 02 /04 /aprile /2012 17:59

La poesia di Montale "Non recidere, forbice, quel volto" fa parte della raccolta "Le Occasioni" ed è inserita nella sezione "Mottetti": l'intera raccolta è dedicata alla giovane studiosa americana Irma Brandeis, che il poeta conobbe nel 1933 e a cui si legò con una relazione affettiva stabile durata sino al 1939.

Nella poesia di Montale la figura femminile ha un valore quasi sacro, come accadeva nel Medioevo con gli autori stilnovisti: la donna viene idealizzata e diventa una specie di tramite tra il mondo umano e il divino.

Tutto ciò è testimoniato dal fatto che Irma Brandeis, nella raccolta successiva alle Occasioni, viene chiamata con il soprannome mitologico di Clizia: il nome fa riferimento alla figlia dell'Oceano amata e poi abbandonata dal Sole, che ella continua però ad amare così intensamente da trasformarsi appunto in Girasole.

E' importante sottolineare che l'amore per Irma Brandeis non viene mai dichiarato apertamente nelle poesie di Montale, ma è vissuto solo nel ricordo: l'ispirazione viene suscitata quindi da situazioni precise (le Occasioni) che suscitano nel poeta un insieme di ricordi e di emozioni legate al passato.

A questo proposito anche un oggetto apparentemente banale (una casa, perfino un portacenere...) assume un significato importantissimo, perchè si riallaccia a precisi eventi della vita del poeta.

In particolare nella poesia antologizzata Montale si augura che un volto caro, ancora vivo nella memoria, non venga tagliato dalle forbici del giardiniere, simbolo del tempo che annulla e confonde i ricordi.

Ecco il testo

 

                                                                       Non recidere, forbice, quel volto

 

Non recidere, forbice, quel volto,

solo nella memoria che si sfolla,

non far del grande suo viso in ascolto

la mia nebbia di sempre.

 

Un freddo cala........ Duro il colpo svetta.

E l'acacia ferita da sè scrolla

il guscio di cicala

nella prima belletta di Novembre.

 

L'occasione da cui questa poesia scaturisce è ben evidente:in una fredda giornata di Novembre il poeta ricorda il volto della donna amata e lo "vede" attraverso i rami di un'acacia:quando il giardiniere inizia a potare l'albero è come se la sua forbice troncasse anche i ricordi di Montale, distruggendo quindi le emozioni da lui provate.

Il testo si divide in due parti:nella prima strofa Montale prepara il lettore all'evento centrale (la discesa della forbice sull'acacia) e fa capire che il ricordo della persona amata è particolarmente importante, visto che resiste al passare del tempo ("solo nella memoria che si sfolla");nella seconda strofa il cadere della forbice provoca in Montale una sensazione quasi fisica di freddo, una specie di gelo interiore che nasce dalla perdita del ricordo.

A questo proposito è interessante osservare che il poeta ha modificato più volte il verso centrale del testo ("Un freddo cala....Duro il colpo svetta") prima di arrivare alla stesura definitiva; in una lettera di Montale all'amico e poeta Renzo Laurano si legge infatti:"Un freddo cala.......Il guizzo par d'accetta" ed il verbo "guizzare" fa riferimento alla rapidità con cui la forbice ha assestato il colpo.

 

 

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24 marzo 2012 6 24 /03 /marzo /2012 17:05

Vittorio Sereni può essere considerato un esponente della poesia antiermetica del Novecento, caratterizzata da un modo di fare poesia chiaro e diretto, spesso legate a temi civili e di importanza sociale.I critici letterari ritengono che Sereni abbia inaugurato la cosiddetta linea poetica "lombarda", caratterizzata da una predilezione per i temi  autobiografici e per la descrizione della vita quotidiana, in modo molto simile all'opera di Umberto Saba.

Vittorio Sereni nasce a Luino nel 1913 si laurea in lettere con una tesi su Guido Gozzano ed entra in stretto rapporto con molti poeti, filosofi ed intellettuali; assieme al filosofo Antonio Banfi e alla poetessa Antonia Pozzi collabora alla rivista "Corrente", a cui collaboravano molti intellettuali ostili al fascismo.

Durante la seconda guerra mondiale il poeta combatte in Grecia e viene intenato per circa due anni in campi di prigionia in Algeria e in Marocco: da questa esperienza nasce la raccolta "Diario d'Algeria".

Dopo la guerra Sereni si trasferisce a Milano, dove insegna per qualche anno e poi lavora come pubblicista alla Pirelli e successivamente come dirigente editoriale alla Mondadori. muore a Milano nel 1983.

Inizialmente la poesia di Vittorio Sereni era abbastanza vicina allo stile difficile tipico degli ermetici, poichè molti intellettuali che collaboravano alla rivista "Corrente" seguivano la moda dell'ermetismo;successivamente l'esperienza della guerra e della prigionia in Algeria portano Sereni a cambiare radicalmente il modo di fare poesia, che diviene molto più realistico e drammatico, con la fitta presenza di dialoghi.

La raccolta più originale è del 1965 e si intitola "Gli strumenti umani", in cui Sereni mostra una grande versatilità attraverso l'uso, anche all'interno dello stesso testo, dei modi espressivi più diversi, passando dalla tenerezza al sarcasmo, dalla gioia allo sdegno; lo spunto per la composizione delle poesie è spesso un fatto apparentemente banale e quotidiano (una passeggiata, la visita ad una fabbrica, ecc.) che però nella mente dell'autore si carica di significati simbolici oppure evoca ricordi importanti.

Un esempio è la bellissima lirica "Amsterdam" e lo spunto dell'ispirazione è dato da una visita di Sereni alla capitale olandese: durante una passeggiata mattutina il poeta s'imbatte nella casa di Anna Frank, la ragazzina ebrea tedesca che durante l'occupazione nazista visse ad Amsterdam nascosta con la famiglia.

Questo fatto occasionale porta l'autore a riflettere su un tema particolare: la possibilità di raccontare ai posteri le proprie esperienze fa sì che l'umanità ricordi solo le sofferenze comunicate attraverso i libri (diari, memorie), ma vi sono migliaia di persone che morirono senza il tempo di denunciare le ingiustizie e i crimini che subirono.La vita, anche e soprattutto nei suoi aspetti più atroci, supera nettamente la letteratura.

La poesia "Amsterdam" è appunto dedicata a tutte le vittime di ogni guerra, anche a quelle sconosciute.

Ecco il testo

 

                                                                                      Amsterdam

A portarmi fu il caso tra le nove

e le dieci d'una domenica mattina

svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra

lungo il semigelo d'un canale. E non

questa è la casa, ma soltanto

-mille volte già vista-

sul cartello dimesso: "Casa di Anna Frank".

 

Disse più tardi il mio compagno:quella

di Anna Frank non dev'essere, non è

privilegiata memoria.Ce ne furono tanti

che crollarono per sola fame

senza il tempo di scriverlo.

Lei, è vero, lo scrisse.

Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale

continuavo a cercarla senza trovarla più

ritrovandola sempre.

Per questo è una e insondabile Amsterdam

nei suoi tre quattro variabili elementi

che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi

tre quattro fradici o acerbi colori

che quanto è grande il suo spazio perpetua,

anima che s'irraggia ferma e limpida

su migliaia d'altri volti, geme

dovunque e germoglio di Anna Frank.

Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam.

 

Lo stile è volutamente serrato, drammatico, quasi nervoso nella sua tragicità; nella seconda parte della poesia viene ridotta al minimo la punteggiatura perchè Sereni vuole dare libera espressione alle emozioni in lui suscitate dalla memoria di Anna Frank e delle vittime dell'Olocausto.

Il poeta immagina che le anime di coloro che hanno sofferto durante l'occupazione nazista siano ancora vive nella città di Amsterdam e cerchino disperatamente di comunicare con l'umanità; in ogni creatura umana sofferente c'è per l'autore il volto di Anna Frank.

 

 

 

 

 

 

 

 

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11 febbraio 2012 6 11 /02 /febbraio /2012 00:00

Camillo Sbarbaro è, nel panorama poetico del Novecento, un autore a torto sottovalutato, perchè la sua opera è in parte "oscurata" dalla presenza ingombrante della cosiddetta triade novecentesca, costiutita da Saba, Ungaretti e Montale.

L'opera di Sbarbaro presenta inoltre caratteristiche molto particolari e singolari, tali da configurare il poeta come una personalità a sè nel mondo poetico novecentesco, difficilmente inquadrabile in un ambito predefinito.

Il critico letterario Carlo Bo fu uno dei primi a riconoscere l'importenza del poeta, infatti nel 1938 egli scrisse un saggio intitolato "Il debito con Sbarbaro", in cui afferma che molti autori del Novecento hanno "imparato a scrivere" attraverso lo studio dello stile letterario sbarbariano.

In particolare la poesia di Sbarbaro influenzò moltissimo l'opera del Montale degli Ossi di seppia, anche perchè i due poeti sono entrambi di origine ligure e descrivono con la massima precisione le caratteristiche del paesaggio della Liguria, visto come simbolo di una condizione esistenziale di aridità.

La raccolta poetica più nota di Camillo Sbarbaro si intitola "Pianissimo" ed esce a Firenze nel 1914: bisogna tener presente che Sbarbaro collaborò per anni alla rivista fiorentina "La Voce", rivista che per più di un decennio (dal 1903 sino al 1915) contribuì alla diffusione della letteratura italiana attraverso la pubblicazione di poesie e racconti.

L'opera di Sbarbaro, tuttavia, rappresenta un'importante eccezione all'interno del gruppo di letterati che gravitavano attorno alla rivista "La Voce": gli intellettuali di quel gruppo, infatti,  si caratterizzano per l'impiego uno stile letterario molto espressivo e soprattutto aristocratico, con forte energia lessicale ed uso frequente di metafore e licenze poetiche.

Camillo Sbarbaro, invece, usa spesso un linguaggio colloquiale e diretto, tendente alla prosa e con uno scarso uso delle figure retoriche.

Ecco la poesia che introduce tutta la raccolta "Pianissimo" e che rappresenta una specie di manifesto dell'intera produzione di Sbarbaro.

 

Taci, anima stanca di godere

e di soffrire (all'uno e all'altro vai

rassegnata).

Nessuna voce tua odo se ascolto:

non di rimpianto per la miserabile

giovinezza, non d'ira o di speranza,

e neppure di tedio.

                                    Giaci come

il corpo, ammutolita, tutta piena

d'una rassegnazione disperata.

                                         Noi non ci stupiremmo

non è vero, mia anima, se il cuore

si fermasse, sospeso se ci fosse

il fiato.......

                        Invece camminiamo.

Camminiamo io e te come sonnambuli.

E gli alberi son alberi, le case

sono case, le donne

che passano son donne, e tutto è quello

che è, soltanto quel che è.

La vicenda di gioja e dolore

non ci tocca. Perduta ha la sua voce

la sirena del mondo, e il mondo è un grande

deserto.

                     Nel deserto

io guardo con asciutti occhi me stesso.

 

La poesia introduttiva alla raccolta "Pianissimo" riprende un tema ricorrente della poesia romantica dell'Ottocento: il poeta si rivolge alla sua anima ( vedere l'esempio di Leopardi nella lirica "A se stesso") e inizia a guardarsi dentro.

Questa lirica anticipa i temi ricorrenti nella raccolta"Pianissimo": l'aridità della vita, la sensazione che la realtà non abbia più nulla da comunicare ai poeti, la rassegnazione alla noia esistenziale.

Il mondo, per Sbarbaro, non è affatto una "foresta di simboli" come affermavano i decadentisti dell'Ottocento; al contrario è un luogo monotono, sempre uguale a se stesso, in cui il poeta è incompreso e non può far altro che rassegnarsi ad una condizione di emarginazione sociale.

Lo stile di questa  poesia, come di molte altre liriche, è piuttosto vicino alla prosa, è colloquiale e diretto:in questo si può notare una certa influenza esercitata su Sbarbaro dai poeti crepuscolari, che d'altra parte affrontavano le stesse tematiche:l'emarginazione sociale del poeta, la descrizione di una vita provinciale monotona e ripetitiva., il senso di solitudine e di incomunicabilità.

 

 

 

 

 

 

 

 

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21 gennaio 2012 6 21 /01 /gennaio /2012 14:05

Il tema della felicità e dell'aspirazione umana verso di essa è stato trattato da molti poeti, tra cui Giacomo Leopardi ed Eugenio Montale.

Questi due poeti hanno una visione della felicità molto simile e soprattutto ritengono che tale condizione sia raggiungibile solo per pochi attimi, istanti magici in cui la persona scopre un mondo di emozioni fin allora quasi sconosciute.

La poesia "Felicità raggiunta" fa parte della raccolta montaliana Ossi di seppia (pubblicata nel 1925): il tema dominante delle poesie di Ossi di seppia è l'idea dell'esistenza come una specie di corsa ad ostacoli, piena di difficoltà e di incertezze; in questo contesto l'uomo è fondamentalmente solo e non può sperare nell'aiuto divino o in circostanze provvidenziali. Dio viene visto come una presenza indifferente alle vicende umane e addirittura nella poesia "Spesso il male di vivere ho incontrato" la felicità viene vista consistere nel raggiungimento della Divina Indifferenza, cioè di una condizione di assoluto distacco spirituale dal dolore.

Solo eccezionalmente gli eventi della vita possono aprire la porta ad uno spiraglio di speranza e quando ciò accade si prova un senso di stupore e quasi di turbamento.

Questa concezione è riassunta nella poesia "Felicità raggiunta", che viene qui antologizzata

 

                                                                                FELICITA' RAGGIUNTA

 

Felicità raggiunta,

si vive per te sul fil di lama.

Agli occhi sei barlume che vacilla,

ai piedi ghiaccio teso

che s'incrina

e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase di tristezza

e le schiari

il tuo mattino è dolce e turbatore

come i nidi delle cimase.

Ma nulla paga il pianto del bambino

a cui fugge il pallone tra le case.

 

E' evidente notare come il poeta ricorra ad una serie di efficaci metafore per descrivere la felicità e soprattutto la fragilità di questa condizione; essa è "barlume che vacilla" e "ghiaccio teso che s'incrina", quindi è un miraggio destinato a svanire da un momento all'altro.

La frase più affascinante della lirica è al verso 6 ("Non ti tocchi chi più t'ama"): secondo il poeta proprio chi desidera maggiormente essere felice deve rinunciare a ricercare la gioia, perchè essa svanisce presto e lascia il posto alla delusione; è importante notare inoltre che le persone normalmente tristi provano un senso di turbamento quando provano gioia, non essendo abituate a tale condizione.

Negli ultimi versi vi è un accenno all'idea secondo cui la sofferenza del bambino sia molto più intensa di quella dell'adulto, proprio perchè il fanciullo ha la capacità di gioire per le piccole cose della vita; il pallone dell'ultimo verso diventa il simbolo della gioia infantile, anch'essa purtroppo intaccata dalle delusioni esistenziali.

 

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17 gennaio 2012 2 17 /01 /gennaio /2012 00:00

Mario Luzi può essere considerato uno dei maggiori poeti ermetici del Novecento.

Egli nacque a Castello presso Firenze nel 1914 e studiò dapprima a Siena e poi a Firenze, dove si laureò con una tesi sul poeta François Mauriac. Il poeta fece parte del gruppo degli ermetici, assieme a Bigongiari, Bò, Macrì, Betocchi e Lisi, collaborando alle riviste fondamentali dell'Ermetismo fiorentino come "Il frontespizio", "Letteratura" e "Campo di Marte".

I fatti fondamentali della sua vita furono il matrimonio nel 1942 e la morte della madre nel 1959, fatto tragico che ispirò le poesie della raccolta "Dal fondo delle campagne".

La poesia di Luzi subì notevoli cambiamenti nel tempo, ad esempio la sua prima raccolta poetica (La barca) è sicuramente di tipo ermetico, con la presenza di un forte simbolismo molto simile a quello dei poeti decadenti, che si unisce però ad interrogativi esistenziali; successivamente gli elementi fantastici ed ermetici lasciano il posto ad una poesia molto più aperta alla concretezza della realtà quotidiana e si approfondisce la riflessione sul senso della vita e del dolore, problema molto sentito dall'autore, caratterizzato da una religiosità tormentata e carica di dubbi, molto vicina a quella del filosofo francese Blaise Pascal.

Queste tematiche riempiono le pagine di raccolte come "Nel magma", "Su fondamenti invisibili" e "Al fuoco della controversia":le liriche presenti in queste raccolte sono caratterizzate da uno stile dialogato, in cui le voci poetiche simboleggiano le riflessioni che l'autore compie dentro di sè.

Oltre che poeta Mario Luzi fu anche drammaturgo e saggista, infatti egli scrisse molti testi sul poeta Mallarmè ed affrontò tematiche di attualità.

In tutte le raccolte post-ermetiche (all'incirca dal 1950 in avanti) si può rintracciare l'influenza di un autore caro a Luzi, Vittorio Sereni, anch'egli all'inzio seguace dell'Ermetismo e poi progredito verso una poesia più autentica e personale.

Nel tono colloquiale di questi testi si avverte una visione della vita contraddittoria e misteriosa, in cui l'uomo percepisce a tratti la presenza del divino, ma ha difficoltà a comprendere pienamente il senso delle vicende storiche ed esistenziali. Ogni persona, quando ricerca Dio, si trova di fronte per Luzi ad un percorso tortuoso e complicato, dall'esito tutt'altro che scontato;tuttavia la fede è per lui una "scommessa" che ogni uomo deve tentare, perchè è necessario dare un senso autentico alla vita.

La religiosità di Mario Luzi pervade soprattutto le ultime raccolte, in particolare "Frasi ed incisi di un canto salutare", che uscirono nel 1990 presso la Casa Editrice Garzanti; il volume, ricco di riferimenti biblici, esprime la tensione tra l'umano e il divino e la difficoltà a tradurre l'esperienza del soprannaturale nel linguaggio comune.

Ecco un esempio tratto da "Frasi ed incisi di un canto salutare":

 

                                                                           Non startene nascosto

 

Non startene nascosto

nella tua onnipresenza. Mostrati,

vorrebbero dirgli, ma non osano.

Il roveto in fiamme lo rivela,

però è anche il suo

impenetrabile nasondiglio.

E poi l'incarnazione- si ripara

dalla sua eternità sotto una gronda

umana, scende

nel più tenero grembo

verso l'uomo, nell'uomo....sì,

ma il figlio dell'uomo in cui deflagra

lo manifesta e lo cela......

Così avanzano nella loro storia.

 

Questa lirica è una preghiera ed un'invocazione a Dio affinchè si manifesti chiaramente e non rimanga sempre nascosto dietro segni di difficile interpretazione; la fede cristiana di Luzi appare evidente nel riferimento alla figura del Cristo, attraverso cui l'Assoluto si manifesta ma nello stesso tempo si nasconde, perchè non appare in tutta la sua onnipotenza. L'incarnazione è quindi il mistero più grande ed incomprensibile.

 

 

 

 

 

 

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  • : In questo blog verrà presentata un'antologia delle poesie più significative della letteratura italiana e straniera, con notizie sulla vita degli autori e sulla loro concezione poetica ed esistenziale.
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